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Perché questa serie viene presentata alla Mostra del Cinema di Venezia? Perché è grande, grandissimo cinema. A partire dalla regia di Wright, libera, impeccabile e maniacalmente attenta ai dettagli come a restituire le atmosfere, alternando in maniera magistrale finzione a repertorio, dietro un certosino lavoro insieme storico e visionario. Il ritmo è incandescente, e il notevole lavoro di scrittura, partita dal significativo romanzo premio Strega di Antonio Scurati e arrivata all’ottima sceneggiatura di Stefano Bises e Davide Serino, regala passaggi memorabili, senza mai scadere nel retorico e senza dimenticare l’ironia (fondamentale, in un racconto già storicamente tragico, cupo e violento di suo).
«La storia si fa partendo dagli ultimi. Si attizza la loro rabbia, si mettono in mano le bombe e le rivoltelle e all’occorrenza matite elettorali». Censura e autocensura sono altrove, sullo schermo vediamo manganelli e aggressioni squadriste, canti socialisti repressi nel sangue, la violenza cieca che conosciamo dai libri di storia. Maestose e memorabili le interpretazioni degli attori, tutti, a partire da Marinelli che dà sfogo al suo smisurato talento. Lo vediamo fare praticamente di tutto: volare, suonare il violino, tirare di scherma, scappare, aggredire sessualmente la segretaria, esplodere in orgasmi esagerati, impartire ordini ai suoi uomini, e in ogni azione l’attore dichiaratamente antifascista scompare. Resta un uomo qualunque, con in mano un potere immenso. «Cosa fa di un fascista un fascista rispettabile? Passare dalla violenza gratuita alla violenza calcolata», dall’antipolitica a un partito, e di lì l’escalation per ottenere sempre più potere. Accanto a Marinelli c’è un cast di primo livello, ogni interprete dà vita e spessore al suo personaggio, da una strepitosa Barbara Chichiarelli nei panni de Margherita Sarfatti al bravissimo Francesco Russo che interpreta Cesare Rossi, dal sempre convincente Paolo Pierobon in quelli del “rivale” Gabriele D’Annunzio a Gaetano Bruno nei panni dell’indomito Giacomo Matteotti, fino a Lorenzo Zurzolo in quelli incandescenti e violenti di Italo Balbo.
La fine dell’ottavo episodio di M. Il figlio del secolo mette i brividi e rimanda all’oggi, sottolineando il rischio di sottovalutare politici populisti, carismatici, abili a dare risposte semplici a problemi complessi e a far leva su paure e preoccupazioni della gente: «Ci vedete come pagliacci, bugiardi, buffoni, scandalosi. Può darsi… Ma è irrilevante: noi siamo il nuovo».