martedì, Dicembre 3, 2024

Cop29 fa i primi conti su quanti soldi investire per il clima

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Il testo si noda così per altre 29 pagine. Tra i punti problematici, l’articolo 21, che – sintetizziamo – riconosce le difficoltà dei Paesi in via di sviluppo. Alcune opzioni sottolineano i particolari problemi dei più poveri e delle piccole isole. Va ricordato che anche il global south non è tutto unito, e chi sta per finire sott’acqua per l’innalzamento dei mari o chi è così povero da non avere neanche la possibilità di inquinare si pone su un piano diverso da chi è preso dalla corsa alla modernità e all’industrializzazione.

L’articolo 49 è un altro punto chiave, e viene da sorridere: alcune versioni manifestano apprezzamento per il fatto che nel 2022 si sono (potremmo dire “sarebbero”, dato che non c’è accordo) raggiunti i 100 miliardi di finanza climatica decisi nel 2009. Altre versioni notano “con grande dispiacere” che l’obiettivo “non è stato raggiunto” e chiedono addirittura gli arretrati, da stanziare entro la fine del 2025. Fantascienza, data l’aria che tira. Più probabilmente, pretattica per poter strappare concessioni rinunciando a un obiettivo massimalista. Tant’è.

E così via di questo passo. La parte essenziale arriva dopo l’articolo 55, dove tra una perifrasi e una parentesi e l’altra, e dopo le stime sui bisogni, si fissano finalmente le cifre di quanto dovrà essere effettivamente stanziato. I numeri ruotano attorno a 1,3 miliardi l’anno, per lassi di tempo variabili tra un lustro e un decennio. La buona notizia, trapela, è che il G77 + Cina, uno dei principali gruppi negoziali, appoggia la cifra col proprio peso specifico. Quindi sarà questo il punto attorno a cui ruoteranno i lavori nei prossimi giorni, con qualsiasi zona di atterraggio attorno ai mille miliardi da considerare un successo clamoroso. Qualche versione prova a riservare da subito una certa quota a piccole isole (39 miliardi) e Paesi poverissimi (290 miliardi). Non sono dettagli, per chi ci vive, ma poco ci manca, in questi casi.

Ma restano da sciogliere molti nodi, come quelli sul tipo di finanza: pubblica a fondo perduto (grants) o prestiti a tasso agevolato (concessional finance)? E che quota destinare agli investimenti? Come ripartire il flusso tra mitigazione adattamento e il contestatissimo loss and damage (il fondo per le perdite i danni)? Ci fermiamo qui: l’idea era fornire uno spaccato della complessità che andrà semplificata entro il 22 novembre.

Le reazioni

Vediamo le reazioni. “Non c’è avanzamento nei contenuti, ma nel metodo” è l’opinione di Chiara Martinelli, direttrice di Climate Action Network Europe, rete di 180 ong. “In generale, si tratta di un documento più dettagliato del precedente che contiene più opzioni, buone e cattive, ma anche elementi relativi ai nostri temi chiave – osserva -. Ci sono le cifre, certo, ma manca ancora una definizione di finanza climatica, tra le altre cose”. Buoni il linguaggio sui diritti umani, il riferimento alle fonti fossili e ai grandi inquinatori; migliorabile la sezione sul loss and damage, secondo Martinelli.

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