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Altro giro altra corsa per il gatto di Schrödinger, quello che è capace, nel mondo della meccanica quantistica, di essere sia vivo che morto finché qualcuno non si prende la briga di controllare. Questa volta un gruppo di ricercatori e ricercatrici ha deciso di “infilare” l’animale protagonista del celebre paradosso all’interno di un chip di silicio. L’obiettivo? Provare ad aggirare alcuni degli ostacoli alla realizzazione di un computer quantistico, come racconta il relativo studio fresco fresco di pubblicazione su Nature Physics.
Cos’è il gatto di Schrödinger
Ma, prima di addentrarci nei meandri della nuova ricerca, che cosa intendiamo esattamente quando parliamo di gatto di Schrödinger? Si tratta di un paradosso teorizzato nel 1935 dal fisico teorico austriaco Erwin Schrödinger. Nel dettaglio, l’esperimento formulato (a livello teorico) da Schrödinger prevede che un gatto venga rinchiuso dentro una scatola contenente un marchingegno potenzialmente letale. Si tratta di un meccanismo a cascata che dipende dal decadimento radioattivo di una certa sostanza, dal quale a sua volta dipende l’integrità di una boccetta di veleno. Se la sostanza radioattiva decade, quest’ultima si rompe e il gatto muore. Nel caso contrario, il gatto rimane in vita. Come anticipato, il paradosso del gatto che è “sia vivo che morto” è valido solo fin quando qualcuno non guarda dentro la scatola e dichiara che il gatto è vivo, oppure che è morto. A quel punto i due stati non sono più contemporaneamente possibili, visto che solo uno dei due è stato verificato. Si tratta in sostanza di una metafora, di un esercizio logico, utilizzato per descrivere la sovrapposizione di diversi stati quantistici.
Lo studio
Nel caso specifico della ricerca appena pubblicata, il gatto del paradosso di Schrödinger è rappresentato da un atomo di antimonio. Quest’ultimo è un atomo pesante, spiega Xi Yu, primo autore dello studio e ricercatore presso la University of New South Wales di Sydney (Australia), che possiede un grande spin nucleare, ossia un grande dipolo magnetico. E lo spin dell’antimonio può assumere ben otto direzioni diverse, anziché solo due.
Questo, spiegano gli autori della ricerca, costituisce un vantaggio: “Normalmente si usa un bit quantistico, o ‘qubit’ come unità di base dell’informazione quantistica”, racconta il secondo autore Benjamin Wilhelm. “Se il qubit è uno spin, possiamo chiamare ‘spin down’ lo stato ‘0’ e ‘spin up’ lo stato ‘1’. Ma se la direzione dello spin cambia improvvisamente, abbiamo subito un errore logico: 0 diventa 1 o viceversa, in un colpo solo. Ecco perché l’informazione quantistica è così fragile”. Il nuovo approccio invece riduce gli errori del sistema. “Come dice il proverbio, un gatto ha nove vite. Un piccolo graffio non è sufficiente per ucciderlo. Il nostro metaforico ‘gatto’ ha sette vite: ci vorrebbero sette errori consecutivi per trasformare lo ‘0’ in un ‘1‘”, prosegue Yu.
Un gatto dentro un chip
Come anticipato, il gatto di Schrödinger in questione, ossia l’atomo di antimonio, è stato inserito all’interno di un chip di silicio simile a quelli che si trovano nei nostri computer o nei nostri cellulari, ma adattato alle “esigenze” quantistiche.
“Ospitando il ‘gatto di Schrödinger’ atomico all’interno di un chip di silicio, otteniamo uno squisito controllo sul suo stato quantistico – o, se volete, sulla sua vita e sulla sua morte”, spiega la co-autrice Danielle Holmes. “Inoltre – conclude – ospitare il ‘gatto’ all’interno del silicio significa che, nel lungo termine, questa tecnologia può essere scalata utilizzando metodi simili a quelli che già adottiamo per costruire i chip dei computer che abbiamo oggi”.