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La mia tranquillità viene però interrotta quando si passa a suoni ambientali, che riproducono schizzi d’acqua e strilli di bambini. Avendo un’idea di relax un po’ diversa, provo alcune delle altre playlist, pensate per diverse bombe da bagno. Magic Bus suona ritmi rave piuttosto generici, mentre Sex Bomb inizia con campane che non trovo particolarmente accattivanti. Inoltre, mi accorgo con fastidio che la musica si interrompe quando clicco per esplorare le diverse sezioni dell’applicazione o per aprirne altre sul mio smartphone.
Dopo un po’, decido di andare Spotify per ascoltare la musica che mi piace davvero (immagino che la maggior parte delle persone finirà per fare lo stesso). Quando mi muovo nell’acqua, l’altoparlante ondeggia e il volume varia mentre il dispositivo si muove dalla mie spalle ai piedi, sbattendo di tanto in modo poco elegante sul lato della vasca.
In conclusione, ho fatto un bagno piacevole, che però non arriverei a definire “un’esperienza sensoriale straordinaria” come pubblicizza Lush. E nonostante Goswell sottolinei che il Bath Bot è un prodotto progettato per il lungo termine, non posso fare a meno di pensare che molti potrebbero finire per usarlo una manciata di volte prima di accantonarlo come una trovata più curiosa che utile.
Le ambizioni di Lush
Lo stesso Goswell ammette che realizzare il Bath Bot è stato un rischio. Lush ha investito un budget consistente in ricerca, sviluppo e produzione per costruire un prodotto che non ci si aspetterebbe da un’azienda di cosmetici. Ma insiste sul fatto che, anche se non dovesse diventare un successo commerciale, il processo sperimentale dietro al gadget si rivelerà comunque prezioso. Il suo team sta già pensando di realizzare accessori per Bath Bot e altri contenuti per l’app ufficiale. L’azienda inoltre sta vagliando altre tecnologie per il bagno: una delle idee emerse prevede di sfruttare il getto d’acqua della doccia per alimentare un dispositivo, una sorta di centrale idroelettrica su scala molto ridotta.
Ma le ambizioni di Lush non si fermano qui. L’azienda – che ha sede a Poole, sulla costa meridionale del Regno Unito – si sta interessando all’energia del mare e ha appena cofinanziato un dottorato di ricerca triennale presso la vicina Università di Bournemouth.
Oltre a studiare lo sviluppo di una nuova stazione di energia mareomotrice nel porto di Poole per alimentare le attività della sede centrale di Lush, Goswell ha anche ventilato l’ipotesi di sfruttare questa fonte rinnovabile per alimentare i server di un modello AI di grandi dimensioni, che potrebbe rappresentare un modo per creare un’esperienza digitale alimentata dall’intelligenza artificiale attenuando le richieste energivore della tecnologia.
Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.