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Con la continua escalation della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, Pechino sta adottando una delle sue tattiche preferite per rispondere ai dazi esorbitanti decisi dal presidente americano Donald Trump: limitare l’esportazione delle terre rare, i minerali critici utilizzati in molti prodotti elettronici ad alta tecnologia, dai jet da combattimento alle turbine eoliche. Ma anche se le restrizioni cinesi su questi minerali possono sembrare una grave minaccia, la realtà è che in passato non si sono rivelate molto efficaci. E rischiano di diventarlo ancora meno se gli Stati Uniti e altri paesi riusciranno finalmente a organizzarsi in modo da non dover dipendere dalla Cina.
Tutto è iniziato nel luglio 2023, quando il governo cinese ha annunciato limitazioni all’esportazione di gallio e germanio, due minerali utilizzati soprattutto nella produzione di pannelli solari e semiconduttori. Nei due anni successivi, l’elenco si è ampliato fino a includere l’antimonio, la grafite e altri materiali. All’inizio di questo mese poi la Cina è andata ancora oltre, sottoponendo sette tipologie di terre rare a un programma di licenze per le esportazioni verso il resto del mondo, pensato per mettere in ulteriore difficoltà le aziende americane.
Le terre rare sono un sottoinsieme di elementi che fanno parte della più ampia categoria dei minerali critici, su cui la Cina esercita da tempo un controllo di stampo monopolistico. Nel breve, le aziende che hanno bisogno di queste risorse potrebbero fare affidamento sulle scorte esistenti o addirittura riciclarle dai dispositivi elettronici. Ma prima o poi gli Stati Uniti e altri paesi saranno costretti ad aumentare l’estrazione a livello nazionale o a ridurre la loro dipendenza dalle terre rare, in modo da mitigare l’impatto delle politiche cinesi. “La Cina ha una sola possibilità e lo sa“, afferma Ian Lange, professore associato di economia e commercio presso la Colorado school of mines.
Rare sì ma non insostituibili
I controlli sulle esportazioni annunciati dalla Cina all’inizio del mese riguardano samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio, che appartengono appunto alla cosiddetta famiglia delle terre rare. In realtà questi elementi vengono definiti “rari” non per la loro scarsità, ma perché spesso sono mescolati ad altri minerali e possono quindi risultare difficili da isolare.
In totale le terre rare sono 17. Il governo cinese ne ha selezionate sette che fanno parte di un sottoinsieme più piccolo di terre rare “pesanti” su cui il paese ha un maggiore controllo, spiega Gracelin Baskaran, direttrice del Critical minerals Sscurity Program presso il Center for strategic and international studies. La Cina ha costruito questo monopolio nell’arco di decenni, creando una solida catena di approvvigionamento mentre il resto del mondo si allontanava da un settore di nicchia e estremamente inquinante. “La Cina lavora praticamente il 100% delle terre rare pesanti del mondo, il che significa che non ha solo un vantaggio comparativo, ma un vantaggio assoluto“, osserva Baskaran.