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India e Pakistan, è già la fine o solo l’inizio? Nelle prime ore di mercoledì, l’India ha lanciato raid missilistici contro quella che ha definito “infrastruttura terroristica” in Pakistan e nelle aree del Kashmir sotto controllo di Islamabad: un’azione militare che è stata presentata come la risposta all’attentato avvenuto ad aprile a Pahalgam, nel Kashmir controllato da Dehli, che ha causato la morte di ventisei civili, in gran parte indiani. Il Pakistan ha replicato con l’artiglieria e sostiene di aver abbattuto alcuni caccia indiani. Ma come siamo arrivati a tanto? E cosa succederà adesso? Proviamo a rispondere.
Le origini del conflitto tra India e Pakistan
Per comprendere le radici del conflitto tra India e Pakistan bisogna tornare al 1947, quando l’India britannica fu smembrata dando origine a due nuovi Stati: quello omonimo e il Pakistan. Una partizione (dall’inglese partition, vocabolo usato ancora oggi per indicare l’evento) affrettata e violenta, che causò lo spostamento forzato di milioni di persone e massacri tra comunità religiose: da un lato l’India, prevalentemente induista, dall’altro il Pakistan prevalentemente musulmano. Al centro (anche delle dispute) il Kashmir, all’epoca regione a maggioranza musulmana guidata da un sovrano induista, il maharaja Hari Singh, successivamente entrato nell’Unione Indiana in cambio di supporto armato: è iniziato così un conflitto che si è concluso con la creazione di una Linea di controllo che oggi è anche il confine non ufficiale tra i due paesi.
Vicini e nemici da settant’anni, India e Pakistan hanno combattuto l’ultima guerra nel 1999, scoppiata sempre nel territorio del Kashmir, ma nel distretto di Kargil, in seguito a infiltrazioni di forze pakistane nel territorio indiano. I rapporti, mai idilliaci, sono nuovamente precipitati dopo l’attacco di Pahalgam. Delhi questa volta ha scelto una strada senza precedenti rispetto agli attentati più recenti (2016 e 2019), che comprende la cancellazione di gran parte dei visti reciproci e lo stop al Trattato dell’Indo.
Il Trattato delle acque dell’Indo
Si tratta di un’intesa nata durante la Guerra fredda su iniziativa della Banca mondiale per regolare le acque che Dehli è chiamata a condividere con Islamabad, vitali per l’agricoltura dei due paesi, in una stagione che si fa sempre più calda, settimana dopo settimana. Per capire la portata della mossa indiana basti ricordare che è la prima volta, nella storia dell’accordo, che uno dei firmatari ha deciso di sospenderne l’applicazione. Può essere un’occasione per la ridefinizione del trattato stesso, richiesta spesso reiterata da parte indiana senza risultato: rimettere mano al testo potrebbe, peraltro, innescare il dialogo tra le parti. Ma si tratta di una prospettiva remota: nell’immediato, più che deviare o trattenere le acque, l’India può solo fermare la cruciale condivisione di dati sul flusso del fiume.
Operazione Sindoor
Delhi ha ribattezzato l’attacco di mercoledì al Pakistan “Operazione Sindoor“, in riferimento al segno rosso che le donne hindu portano nella scrinatura dei capelli quale il tradizionale simbolo del matrimonio. Virale è stata infatti, in tutta l’India, la foto di una giovane coppia che si trovava in luna di miele a Pahalgam: l’uomo è stato freddato e lo scatto inquadra la donna inginocchiata accanto al corpo del marito. Il Pakistan dal canto suo ha negato qualsiasi coinvolgimento nell’attacco in Kashmir e ha chiesto un’indagine indipendente.
Il Kashmir indiano
Quello del 22 aprile è stato il primo grave attacco contro civili da quando il governo di Narendra Modi ha revocato l’articolo 370 della Costituzione, nel 2019: si trattava di una disposizione speciale che garantiva autonomia costituzionale all’unico Stato indiano, quello di Jammu e Kashmir, a maggioranza musulmana. La revoca era stata considerata da Pakistan come un “atto aggressivo” e ha aumentato il sostegno, secondo l’India, a gruppi jihadisti attivi nella regione. Non sono mancate le proteste da parte della popolazione e gli attivisti hanno denunciato violazioni nei mesi seguiti alla decisione. Ma da allora si è anche registrato un calo (fino a poche settimane fa) degli attacchi terroristici e un evidente aumento del numero di turisti, vitali per l’economia locale, con buone ricadute economiche per la regione. Una “normalizzazione” che, accusa l’India, non era vista di buon occhio dal vicino.
Gli obiettivi
Definita da parte indiana come “mirata, misurata e non votata all’escalation”, l’operazione militare delle ultime ore avrebbe, secondo quanto comunicato da Delhi, evitato obiettivi civili e infrastrutture militari “convenzionali”, concentrandosi piuttosto su nove siti legati alle attività dei gruppi terroristici Lashkar-e-Taiba e Jaish-e-Mohammed, considerati responsabili del massacro del 22 aprile. Secondo fonti pakistane, sono state colpite tre aree diverse: Muzaffarabad e Kotli nel Kashmir amministrato dal Pakistan e Bahawalpur nel Punjab pakistano.
La notizia cui guardare, però, è che fonti militari e diplomatiche pakistane hanno dichiarato di aver abbattuto cinque caccia indiani, tra cui tre Rafale di fabbricazione francese e due di fabbricazione russa. Hanno affermato che i velivoli sono stati colpiti nello spazio aereo indiano: questo dato (qualora risultasse vero – Delhi non ha confermato) ci rivelerebbe, tra le righe, due dati importanti. Il primo è ricordarci alcuni equilibri geopolitici, a partire della dipendenza indiana dagli armamenti russi, che secondo lo Stockholm international peace research Institute negli ultimi vent’anni ha toccato il 65% degli acquisti militari e della difesa di Delhi – cifre che stanno venendo lentamente soppiantate da Francia, Stati Uniti e Israele. Dal canto suo, il Pakistan è legato per la sua difesa principalmente alla Cina. In secondo luogo, alcuni analisti pensano che l’escalation possa a questo punto essersi conclusa con una parità (attacco muscolare indiano, abbattimento dei jet da parte pakistana) tale da metterebbe al riparo l’orgoglio nazionale di entrambe le parti.
Il nucleare
L’attacco indiano è avvenuto nel Punjab pakistano, quindi al di fuori della regione contesa, acutizzando una crisi tra due paesi dotati entrambi di armi nucleari. Il governo indiano ha ordinato mercoledì esercitazioni di difesa civile in 244 distretti di tutto il territorio, in preparazione di un potenziale ampliamento del conflitto. Ma il peso delle schermaglie di questi giorni si riflette, è bene ricordarlo, su tutti gli altri membri non dotati di armi nucleari dell’Associazione sud-asiatica per la cooperazione regionale (Saarc) come Bangladesh, Sri Lanka, Nepal, Bhutan e Maldive.
La diplomazia
Quanto alla diplomazia, tutti confidano che gli Stati Uniti siano coinvolti a qualche livello, anche se è evidente che rispetto al passato l’amministrazione Trump non sembra interessata al ruolo di guardiano della pace internazionale (“Abbiamo appena saputo“, avrebbe dichiarato il presidente Usa. “Combattono da molto tempo. Spero solo che finisca molto presto“). Più interessante è il ruolo della Cina, da sempre vicina al Pakistan, che ha sia l’interesse a promuovere il suo ruolo di “paciere” nella regione, sia quello a evitare una escalation che, dal punto di vista commerciale (pensiamo alla chiusura reciproca degli spazi aerei, ma anche al fatto che i commerci tra Pakistan e Cina passano in parte dal Kashmir) non gioverebbe a nessuno.
Infine, in queste ore bisogna osservare anche le mosse di Regno Unito (Londra e Delhi hanno appena firmato un importante accordo commerciale) e Arabia Saudita (quinto partner commerciale dell’India, mentre l’India è il secondo partner commerciale di Riyad). In particolare, l’avvicinamento tra Delhi e i paesi del Golfo ha certo indebolito diplomaticamente il Pakistan, negli ultimi anni, ma costituisce oggi una leva non indifferente per calmare velocemente le acque.