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Quando l’8 maggio è stato eletto papa Leone XIV subito in molti si sono interrogati sulla scelta di questo nome e sono andati col pensiero a Leone XIII e alla sua Rerum Novarum. È consuetudine, infatti, che ogni nuovo papa voglia trasmettere un primo indizio su quello che sarà il suo pontificato fin dalla scelta del nome ed è quindi significativo ripassare ciò che il suo più recente omonimo abbia fatto per la Chiesa e per il mondo. Leone XIII, romano nato col nome Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, ha retto la Cattedra di Pietro dal 1878 al 1903, un periodo di grandi mutamenti sociali e politici per l’Italia e non solo. Succeduto al longevo e autoritario Pio IX, l’ultimo pontefice che aveva rivendicato il potere temporale del Papato contro anche l’unità d’Italia, Leone XIII aveva intuito che la direzione del Vaticano doveva orientarsi più verso un approccio socio-economico.
È infatti ricordato, tra le 86 che scrisse, principalmente per la sua enciclica più nota e per certi versi rivoluzionaria, la Rerum Novarum, pubblicata nel 1891. Già il titolo è eloquente: in latino significa “Delle cose nuove”, e vuole dunque occuparsi dei temi di più stringente attualità, a partire di come la religione cattolica si relazione al mondo del lavoro e ai diritti dei lavoratori. Con questo documento s’inaugura la cosiddetta dottrina sociale della Chiesa, ovvero l’insieme di principi, teorie, insegnamenti e dottrine che regolano i problemi di natura sociale ed economica. Nella sua enciclica Leone XIII fa una mediazione tra quelle che erano le varie correnti all’interno della Chiesa nei confronti del capitalismo avanzante (da una parte c’era chi voleva avvicinarsi al socialismo in chiave anti-marxista, dall’altra chi promuoveva un liberalismo alla laissez-faire), e in sostanza intima agli operai di non abbandonarsi a istinti violenti e rivoluzionari ma anche ai padroni di assumere un atteggiamento rispettoso e tutelante nei confronti dei dipendenti.
Il testo della Rerum Novarum
“Nel tutelare le ragioni dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri”, si legge nella Rerum Novarum, e a un certo punto Leone XIII scrive anche: “Principalissimo poi tra questi doveri è dare a ciascuno il giusto salario. (…) Defraudare poi il dovuto salario è colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di Dio”. L’enciclica si occupava dei vari temi della giustizia sociale, sollecitando la nascita di sindacati operai d’ispirazione cattolica, promuovendo la solidarietà cristiana come cardine dei rapporti di lavoro e invitando l’intervento dello Stato nei casi di scontro. L’enciclica è considerata come uno dei documenti fondamentali dell’Ottocento per quanto riguarda le teorie economiche, ponendosi in qualche modo a metà strada tra il Saggio sulle libertà di John Stuart Mills, sull’individualismo come via per il progresso e il benessere, e il Capitale di Marx, che dà vita al socialismo e poi al comunismo: la Rerum Novarum infatti da una parte riconosce il diritto degli imprenditori a possedere attività e patrimoni, ma dall’altro – in modo forse vagamente paternalistico – vuole tutelare i bisogni fondamentali di operai e lavoratori.
Proprio per questi contenuti, Leone XIII viene ricordato come il “papa sociale” o il “papa dei lavoratori”. Il fatto che il nuovo papa Robert Prevost abbia scelto il nome di Leone XI potrebbe dunque indicare, tra le altre cose, la volontà di riagganciarsi a questa dottrina sociale della Chiesa, forse non strettamente legata alle dinamiche del lavoro ma in generale per una lotta alle disuguaglianze globali e per il rispetto degli ultimi, arrivando a toccare argomenti più ampi come le migrazioni e l’emergenza climatica. Temi, questi, che lo caratterizzano da tempo e sono in continuità anche col suo predecessore, papa Bergoglio.