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Può un videogioco come Relooted riportare in auge il tema dell’appropriazione coloniale delle opere d’arte? Tanti dei capolavori che vediamo nei più grandi musei del mondo, infatti, sono stati letteralmente sottratti dai loro luoghi d’origine. E se ci indigniamo spesso e volentieri che i francesi al Louvre ancora non ci hanno restituito la Gioconda, cosa dovrebbero dire i numerosi paesi africani che si sono visti depredare della maggior parte del loro patrimonio artistico delle origini? “Un report del governo francese stima che il 90% del patrimonio culturale dell’Africa sub-sahariana è in possesso di collezioni occidentali”: a dichiararlo è Sithe Ncube, producer dello studio sudafricano di videogiochi Nyamakop, il quale di recente ha appunto lanciato un progetto videoludico che vuole sottolineare l’importanza di una questione tanto spesso dimenticata.
“Ci sono milioni e milioni di artefatti culturali, spirituali e personali di grande importanza – compresi resti umani – che non sono nel luogo in cui dovrebbero essere”, continua Sithe Ncube. E in qualche modo un videogioco come Relooted vuole sanare questo torto: si tratta infatti di una gioco di piattaforma (simile a Super Mario Bros., per intenderci) che sfrutta l’estetica afrofuturistica per mettere al centro degli eroici protagonisti il cui obiettivo è rubare in modo rocambolesco opere africane da importanti musei. La missione è dunque quella di appropriarsi di opere d’arte – chiaramente ispirate a alcuni pezzi davvero esistenti e conservati in musei occidentali – e di restituirli ai legittimi proprietari in Africa. Ogni missione si articola in tre fasi: quella del monitoraggio dei luoghi e dei sistemi di sicurezza; quella della costruzione di una via di fuga e infine del furto vero e proprio e della fuga.
Un po’ Che fine ha fatto Carmen Sandiego? e un po’ Black Panther, Relooted – in arrivo prossimamente – è un ottimo videogame di astuzia e abilità, oltre che potenzialmente un utile strumento di sensibilizzazione. Una delle sfide maggiori durante la realizzazione è stata proprio quella di sfoltire il numero di artefatti da mostrare nel gioco, perché ce n’erano troppe: “È stato un processo intricato, ma abbiamo impiegato due ricercatori nel corso di due anni”, ha dichiarato il direttore creativo del gioco, Ben Myres. Ogni missione compiuta diventa così un’occasione di apprendimento: il videogioco fornisce infatti una piccola storia dell’artifatto che viene “relooted”, cioè riallocato nel suo luogo di origine, sottolineando quale fosse la sua origine e l’importanza per il paese a cui è stato restituito. Un modo per far riflettere su come sono costituite ancora oggi le collezioni museali del mondo, spesso dimentiche del passato coloniale e della prevaricazione culturale che le ha generate.