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Un giorno mangeremo robot: com'è avere un drone per merenda

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Un giorno mangeremo robot: com'è avere un drone per merenda

Pensando ai dispersi in aree remote, il gruppo dell’EPFL, la Scuola politecnica federale di Losanna, in Svizzera, ha ideato un drone commestibile, pronto per essere mangiato in attesa dei soccorsi. L’unico accorgimento è quello di attendere che il dispositivo elettronico volante invii le coordinate che aiutano a essere localizzati, ma poi lo si può gustare in massima sicurezza perché composto da materiale approvato dall’Agenzia per la sicurezza alimentare europea.

Partendo da una delle prime applicazioni pensate per i suoi robot commestibili, il coordinatore del progetto Robofood Dario Floreano, direttore del Laboratorio di Sistemi Intelligenti dell’EPFL racconta come funzionano e come sono fatti, ospite della terza puntata di Un giorno mangeremo robot, il podcast di Wired, realizzato in collaborazione con IIT (Istituto italiano di tecnologia) e con il supporto del programma europeo EDISENS.

Oltre al drone per il salvataggio dei dispersi, Robofood sta dando vita a vari sensori e altri componenti di elettronica a attuatori sempre fatti di materiali rigorosamente commestibili e connessi in sistemi intelligenti, in grado di percepire ed interagire con l’ambiente in cui si muovono. Tanti sono gli utilizzi possibili e ancora da immaginare ma tante sono anche le ricette da sperimentare per renderli sempre più efficaci e allo stesso tempo gradevoli al gusto e digeribili.

Nel dialogo con Floriano si possono scoprire entrambe sia in nuovi orizzonti “culinari” della robotica, sia quelli applicativi. Dal punto di vista degli ingredienti si parla di gallette di riso soffiato come materiale strutturale principale per le ali, per via della loro bassa densità, e di semplice gelatina come adesivo, sostituibile anche con l’amido di mais. Per quanto riguarda le applicazioni, sulla scia della caramella diagnostica protagonista della prima puntata, si resta nell’ambito medico scoprendo come, grazie allo studio dell’elettronica commestibile, si potranno creare microrobot sempre più in grado di risolvere problemi di salute specifici. Una volta ingeriti, infatti, sono a tutti gli effetti dei dispositivi medici da guidare dall’esterno perché operino all’interno del corpo per poi essere digeriti. Senza più quindi la necessità di effettuare alcun taglio o operazione invasiva, con potenziali rischi di infezioni.

Un’altra applicazione possibile riguarda le persone che soffrono di disfagia, che hanno quindi problemi di deglutizione: all’interno dello stesso progetto di ricerca relativo al drone commestibile, i collaboratori di Bristol con il Prof Johanatan Rossiter stanno infatti realizzando un cibo in grado di mutare forma una volta che viene ingerito, appena raggiunge i 37 gradi. Da solido, diventa liquido, semplificando la deglutizione.

Esistono alcuni possibili casi d’uso dedicati agli animali e Floreano ne racconta alcuni, lasciando immaginare che nel prossimo futuro si possa nutrire il proprio gatto con un cibo robotico da rincorrere, per far sì che non perda l’istinto di inseguire la preda. Poi svela anche come è nata in lui l’idea di dedicarsi a questo filone di ricerca, ma per scoprire occorre ascoltarlo.

Ai microfoni di Un giorno mangeremo robot ci sono Valerio Annese, ricercatore, e Marta Abbà, giornalista scientifica, con il coordinamento editoriale di Luca Zorloni. In regia Daniele Anniverno e Riccardo Indelli, il montaggio è di Giulia Rocco. Il podcast è stato realizzato con il supporto di Edisens (grant agreement n. 101105418), un progetto di ricerca finanziato dallo schema Marie Skłodowska-Curie Actions, nell’ambito del programma Horizon Europe dell’Unione Europea.