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Missione compiuta, dunque? L’esercito russo, in effetti, non accerchia più Kyiv e la capitale ha persino ripreso a vivere in molti quartieri. “In quei dieci giorni abbiamo contribuito a bloccare la strada ai russi. Non li abbiamo respinti ma non li abbiamo fatti passare“, dice James. La sua unità, a differenza di altre, non ha subìto nemmeno una perdita. In confidenza, aggiunge però che l’organizzazione dell’esercito ucraino lascia piuttosto a desiderare. “Sono un po’ casinisti. Ma gli ucraini sono le persone più coraggiose, determinate e caparbie che abbia mai visto. Sono assolutamente convinto che ce la faranno”.
Noia quotidiana
Ora che James non ha molto da fare, soddisfatto perché la sua unità è stata l’unica a non subire perdite, passa le giornate a Lviv nel suo albergo a quattro stelle. Gliel’ha procurato il governo ucraino, a lui e altri due ex compagni di trincea. Di mattina viene in visita qualche intermediario misterioso dell’esercito, che gli mette in mano dei soldi per comprarsi da mangiare o dei vestiti nuovi.
Lui non è granché interessato a fare il turista, e quasi tutte le sere mangia della pizza italiana e scorre volti su Tinder: “Che vuoi che ti dica? È ancora attivo, quindi perché no?” Gli chiediamo se nella biografia dica la verità. “Resto vago, dicendo che faccio il volontario. Però non resisto e nelle foto del profilo metto anche quelle in uniforme. Ho incontrato una ragazza, aveva molta più paura di me della guerra, però era riconoscente per quello che faccio. Mi ha fatto tenerezza e non le ho dato troppe informazioni sui miei spostamenti.“
Non era mai stato molto patriottico, James, ma vedere l’equipaggiamento britannico sui suoi compagni di trincea lo ha riempito di orgoglio. “Sono contento che Boris Johnson abbia deciso di sostenere il mondo libero. Non ho votato per la Brexit, non me n’è mai fregato nulla. Vivevo in Thailandia, all’epoca. Però ho visto l’effetto sui camionisti polacchi e sugli stessi ucraini che ora hanno molta difficoltà a lavorare in Gran Bretagna. Sperano aprano le porte ai profughi”.
Mentre parliamo, una cameriera con la mascherina alzata ci chiede di spostarci nel bunker più vicino, perché è scattato l’allarme antiaereo e non ce ne siamo accorti. Fuori intanto si è fatto buio. “Siete tutti troppo tranquilli, qui. Non vorrei che Lviv facesse la fine Mariupol”. Non bisogna credere ai russi, spiega, che hanno definito conclusa la campagna con la “denazificazione” del Donbass.
In effetti la maggioranza degli esperti concorda: la Russia non può continuare la campagna all’intensità attuale per più di un mese, ha troppi fronti aperti e dovrà fare una pausa e riorganizzarsi con nuove truppe. Il piano iniziale di un cambio di regime a Kyiv, con l’installazione di un governo fantoccio, è stato completamente rovinato dalla resistenza inaspettata e ora ha solo remote possibilità di successo. Ma le sanzioni contro la Russia non sembrano sortire per ora gli effetti desiderati, l’esercito di Mosca non minaccia più la capitale ucraina ma ha conquistato quasi tutto il Donbass; ha migliorato la sua logistica. Il timore è che ci si possa impantanare in una guerra di logoramento, lunga e distruttiva e con grandi effetti a catena.
James però non sembra preoccuparsi. Sente già la mancanza di Liverpool, dice, ma sposa in pieno l’opinione pubblica ucraina, la quale si oppone ferocemente a qualsiasi concessione territoriale. Quanto pensa ancora di restare? “Finché non vinciamo questa dannata guerra. L’ho detto ai miei figli, ai miei amici, alla gente che incontro qui”.