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È bastato che lo scorso weekend, al D23 Disney Expo, si presentasse il teaser trailer de La Sirenetta in cui Ariel è interpretata da Halle Bailey per risvegliare le più pignole polemiche del web generalista. Nel nuovo live-action della casa di Topolino, che uscirà nel maggio 2023, a dare volto e voce la protagonista è stata chiamata infatti la cantante e attrice ventiduenne che, guarda caso, è anche una ragazza nera. Fin dall’annuncio di questo progetto cinematografico nel 2019, i puristi della nostalgia e i più preparati sirenologi si sono scagliati contro la presunta assurdità di proporre una creatura marina che non fosse bianca: l’argomento principale è che Ariel è sempre stata bianca con gli occhi azzurri e i capelli rossi, impossibile tradire dunque questa immagine feticcio.
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In molti, forti probabilmente della loro ultima visita a Copenaghen, hanno anche scomodato le origini scandinave della storia, scritta da Hans Christian Andersen nel 1837, senza però considerare che – oltre alla nostra concezione greco-romana delle sirene (che all’inizio addirittura erano metà donna e metà uccello, non metà pesce) – esistono creature simili nel folklore cinese, coreano, giapponese, polinesiano, africano. C’è anche chi ha provato un approccio scientifico, sostenendo che non è possibile che sirene che abitano nel fondo del mare ricevano abbastanza luce del sole da scurire la loro melanina (su questo BuzzFeed ha scomodato una biologa marina curatrice National Museum of Natural History di Washington, Karen Osborn, che ha chiarito come esistano moltissime specie di pesci che vivono nella profondità del mare e sono nerissimi, soprattutto per sorprendere le prede).
Alle varie obiezioni da parte di chi si sente tradito da una rappresentazione black della Sirenetta si può rispondere sempre in modo più o meno razionale. D’altronde la stessa tiritera si è ripetuta parecchie volte negli ultimi anni e ancora di più negli ultimi mesi: il casting di Steve Toussaint in House of the Dragon nei panni di lord Corlys Velaryon, oppure quello di Ismael Cruz Córdova in quelli dell’elfo Arondir ne Gli anelli del potere o ancora – sempre in un live-action Disney, Pinocchio – di Cynthia Erivo nella parte della Fata Turchina ha scandalizzato moltissimi commentatori del web, convinti per lo più che queste siano mosse esclusivamente guidate dal politically correct (“se non ci mettono un personaggio nero non son contenti”). L’obiezione, quella più di pancia, è sempre la stessa: davvero vi interessa il colore della pelle di un personaggio di fantasia? Davvero vi preoccupate se una sirena, una fata o un elfo neri sembrano irrealistici?
A ben vedere questo argomento nasconde a sua volta una semplificazione e una pigrizia: come ha scritto dal giornalista esperto di cultura pop e fumetti Riccardo Corbò in un ottimo post su Facebook, da quando esistono i nerd o più in generale gli appassionati di un genere o di una storia in particolare, c’è chi spezza il capello in quattro per verificare la plausibilità o coerenza dei dettagli più minuti di qualsivoglia universo narrativo. Il problema è che spesso questo atteggiamento, soprattutto negli ultimi casi citati, non è fatto nella buonafede del fan che pretende esattezza assoluta dello storytelling a cui è esposto, ma è portato avanti come un preciso fastidio politico rispetto all’apertura all’inclusione e alla diversità: annoverare personaggi (e quindi attori) di colore per queste persone non solo non è un’esigenza, ma anche una forzatura, talvolta un pericolo.