mercoledì, Settembre 10, 2025

Titanic, Le ultime tragiche 96 ore del Titan

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Il Titan e il suo equipaggio dovevano impiegare due ore e mezza per raggiungere il fondo dell’oceano, a 13.000 piedi (quasi 4.000 chilometri) di profondità. Dopo essersi introdotti negli angusti spazi del sommergibile, il pilota e i quattro passeggeri si erano seduti goffamente all’interno dello scafo, mentre gli ingegneri chiudevano l’imbarcazione dall’esterno. Da questo momento fino alla fine della loro immersione, i cinque erano rimasti incapsulati, separati completamente dall’acqua e dall’aria del resto del mondo. Erano partiti dalla città portuale canadese di St. John’s, Terranova, alle otto del mattino locali del 18 giugno 2023: da quel momento, a circa 375 miglia nautiche (circa 700 chilometri) a est, era iniziata la loro missione di immersione verso il Titanic. A bordo del sottomarino c’erano Stockton Rush, presidente e fondatore di OceanGate (la società che gestiva il viaggio), il miliardario britannico Hamish Harding, l’esploratore francese di acque profonde ed esperto del Titanic Paul-Henri Nargeolet, l’uomo d’affari britannico-pakistano Shahzada Dawood e il figlio di quest’ultimo, Suleman.

Tramite una piattaforma galleggiante, i partecipanti e le loro imbarcazioni erano scesi dalla nave che li aveva trasportati fino al rompighiaccio di ricerca canadese Polar Prince, nelle acque agitate dell’Atlantico settentrionale. La sagoma bianca e affusolata del sottomarino era scomparsa rapidamente nei flutti, iniziando la sua lenta discesa nelle oscure profondità oceaniche in direzione del relitto più famoso del mondo. Un’ora e 45 minuti dopo, le comunicazioni con Titan si interrompevano. Nell’eventualità che l’imbarcazione fosse ancora intatta, indipendentemente da dove si trovasse, all’equipaggio restava ossigeno per circa 94 ore. Di lì a poco sarebbe iniziata un’operazione internazionale di ricerca e salvataggio, in una disperata lotta contro il tempo.

La mattina del 19 giugno, la missione era pienamente avviata. La Guardia Costiera degli Stati Uniti aveva iniziato a condurre le ricerche a 900 miglia (circa 1.600 chilometri) a est di Cape Cod, in collaborazione con le forze armate canadesi e le imbarcazioni commerciali della zona: “È una zona remota che costituisce una vera sfida, ma stiamo dispiegando tutte le risorse disponibili per assicurarci di localizzare l’imbarcazione”, ha dichiarato il retroammiraglio della Guardia Costiera John W. Mauger durante una conferenza stampa. Il tempo era già contro di loro. Quando si fanno immersioni così al largo nell’oceano, come nel caso di OceanGate, “i soccorsi impiegano circa tre-sette giorni ad arrivare”, osserva Peter Girguis, un oceanografo dell’Università di Harvard. E, cosa sorprendente, l’equipaggio del Polar Prince aveva impiegato quasi otto ore per avvisare la Guardia Costiera degli Stati Uniti della scomparsa di Titan. Non solo le autorità statunitensi e canadesi avevano il compito di localizzare un sommergibile di nemmeno sette metri in un’area grande il doppio del Connecticut e caratterizzata da acque profonde due miglia e mezzo (circa quattro km), ma al momento della conferenza stampa di Mauger, al sottomarino restavano circa 63 ore di ossigeno.

C’erano ulteriori complicazioni. Il Titan non disponeva di un radiofaro di emergenza o di un sistema di recupero dedicato: “Non c’era modo per la sua nave di supporto in superficie di inviargli qualcosa, di aiutare la localizzazione del sottomarino o di tirarlo su“, spiega Girguis. E senza un radiofaro, il Titan poteva anche ritrovarsi a galleggiare sulla superficie senza essere notato. Tuttavia, la preoccupazione maggiore era la struttura dell’imbarcazione. A differenza della maggior parte dei sommergibili, che hanno uno scafo a pressione sferico in acciaio o titanio, il Titan era una nave sperimentale in fibra di carbonio. La sua scomparsa dai sistemi di rilevamento poteva significare che lo scafo era stato compromesso, che l’imbarcazione era ormai troppo fragile per essere recuperata o che era già troppo tardi.

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