mercoledì, Settembre 3, 2025

A Cop29 ci sono più lobbysti del petrolio che dei Paesi più colpiti dalla crisi climatici

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Baku – Si mimetizzano tra i delegati al bar, nelle hall della sede di Cop29, la conferenza dell’Onu sul clima. Qualcuno riesce a infilarsi nelle sale negoziali. Stringono mani, supportano i negoziatori nell’immane lavoro di semplificazione dei testi, proponendo sintesi, compromessi, suggerimenti interessati. La coalizione Kick big polluters out (Kbpo, Fuori i grandi inquinatori), che raccoglie 450 organizzazioni non governative a livello mondiale, ha fatto i conti. Sarebbero almeno 1773 i lobbysti dell’oil and gas, tra i principali settori economici indiziati per il surriscaldamento globale, presenti a Cop29. Un numero stimato per difetto. Poche delegazioni hanno più personale in Azerbaijan: quella locale, come è ovvio (2.229 membri), quella del Brasile, dove si svolgerà la Cop30 dell’anno prossimo, (1.914 elementi) e quella turca (1.862). Wired ha potuto vedere la lista in anteprima.

Il rapporto delle ong

Nelle conferenze del clima, progressivamente allargate nel corso degli anni, ogni Paese dispone di un seggio e un microfono. Dopo l’edizione monstre di Dubai, quest’anno le tessere rilasciate sono diminuite: solo 52mila partecipanti, rispetto ai 97mila di dodici mesi fa. I lobbysti, però, non sono calati in proporzione: negli Emirati erano 2.450 degli Emirati. Tutti assieme, accusano le organizzazioni, hanno ricevuto ben 1.033 badge, cifra che supera quella delle dieci nazioni più vulnerabili al cambiamento climatico: Ciad, Isole Solomon, Niger, Micronesia, Guinea-Bissau, Somalia, Tonga, Eritrea, Sudan e Mali.

Molti di questi colletti bianchi delle pubbliche relazioni, dirigenti e consulenti sono riusciti a superare il complicato processo di accreditamento e a entrare al centro congressi di fronte all’Olympiastadion di Baku, la capitale azera, grazie all’aiuto di alcune organizzazioni nazionali per il commercio: le più rappresentate (otto su dieci) sono occidentali. Davanti a tutti, la International Emission Trading Association, che, secondo il rapporto di Kbpo, avrebbe veicolato 43 persone, inclusi i rappresentanti di alcune aziende del settore petrolifero, come Total, e Glencore, multinazionale anglo-svizzera attiva nel settore minerario. Segue il World Business Council for Sustainable Development, con ventisette persone.

Dal Giappone sarebbe arrivato personale riconducibile al gigante del carbone Sumitomo. Dal Canada, a Suncor Energy e Tourmaline. Quest’ultima si autodefinisce “il più grande produttore di gas del Paese”. In questo caso l’effetto è addirittura comico. Navigando la pagina web, la società si dichiara focalizzata sulla crescita a lungo termine da ottenere tramite un programma aggressivo [sic] di esplorazione, sviluppo, produzione e acquisizione nei bacini sedimentari del Canada Occidentale”. C’è di più. Viene sottolineato senza tema persino l’ovvio: per esempio, come l’obiettivo della compagine sia quello di “ottimizzare i ritorni per gli investitori focalizzandosi su efficienze operative e di costo”.

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