mercoledì, Settembre 3, 2025

Ponte sullo Stretto, secondo gli Stati Uniti non può rientrare nelle spese militari

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La proposta del governo italiano di far rientrare i costi del ponte sullo Stretto tra gli obiettivi di aumento delle spese militari concordato con gli alleati atlantici ha suscitato critiche da parte degli Stati Uniti. L’ambasciatore americano presso la Nato, Matthew Whitaker, in un’intervista a Bloomberg ha infatti espresso una posizione nettamente contraria.

Il progetto dell’infrastruttura, del valore di circa 13,5 miliardi di euro, era stato inserito dal nostro governo nei punti dell’accordo firmato a fine giugno dai paesi che fanno parte della Nato e che prevede di portare entro il 2035 la spesa militare al 5 per cento del prodotto interno lordo (pil). L’obiettivo della manovra era alleggerire il peso economico sull’Italia, sfruttando le ambiguità delle regole finanziarie dell’Alleanza.

Il principale sostenitore di questa strategia è stato il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, che già in passato aveva provato a utilizzare margini interpretativi delle norme Nato per ampliare le voci che potessero rientrare nelle spese militari.

Il ponte sullo Stretto, la Nato e la posizione statunitense

Gli Stati Uniti, attraverso le dichiarazioni riportate dal sito di notizie finanziarie, hanno ribadito di non approvare alcuna forma di “contabilità creativa da parte degli alleati europei” per raggiungere i target di spesa. Whitaker ha inoltre sottolineato che è “molto importante” mantenere una chiara distinzione tra le spese effettive di difesa e quelle più ampie di sicurezza, precisando di aver discusso con diversi paesi che tendono a dare un’interpretazione troppo estesa di cosa rientri nella difesa.

L’attenzione Usa nasce anche dal fatto che l’aumento al 5 per cento del pil per la difesa è stato fortemente voluto dal presidente Donald Trump, che ha più volte accusato i membri Nato di non contribuire a sufficienza ai costi dell’Alleanza. Secondo l’accordo siglato a giugno a conclusione del vertice che si è tenuto all’Aja, questo impegno prevede una ripartizione precisa: il 3,5 per cento del pil destinato alla difesa in senso stretto, quindi armamenti, soldati e personale militare, e l’1,5 per cento alle spese per la sicurezza, che comprendono infrastrutture strategiche come porti e ferrovie, investimenti nella cybersicurezza, installazione di cavi sottomarini per energia, gas e dati, oltre a interventi legati alla gestione dei flussi migratori.

L’Italia, insieme agli altri 31 paesi Nato, ha sottoscritto questo impegno. Attualmente è tra i maggiori contributori, al quinto posto con circa 35 miliardi di euro spesi lo scorso anno, ma per centrare l’obiettivo fissato all’Aja sarà necessario aumentare ulteriormente questa cifra. Anche per questo Roma aveva valutato di inserire il ponte sullo Stretto tra le spese militari, classificandolo come infrastruttura a supporto della difesa.

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