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Inoltre, suggerisce di non “ridere a crepapelle, parlare a voce alta o attirare l’attenzione”. Prevedibilmente, il video è stato inondato di critiche (“Ma stai bene?” è la domanda più frequente nei commenti) ed è diventato oggetto di numerose parodie. Senza considerare però che Palmer, (così come ogni Trad Wife) non è solo una casalinga ma una creatrice di contenuti. L’indignazione, nell’economia social, è moneta sonante: più persone guardano il video, più persone commentano, più il valore del suo profilo cresce.
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Stiamo romanticizzando gli stereotipi di genere?
Rispetto ad altri trend social, il “princess treatment” ha fatto molto rumore perché tocca i temi dell’emancipazione femminile e delle dinamiche di potere. A pensarci bene, non è un caso che sia diventato popolare il trattamento “da principessa” e non “da regina”. Le regine hanno un ruolo politico, un regno da governare. Le principesse nell’immaginario collettivo sono sempre giovani, belle, aggraziate e tendenzialmente in attesa di essere salvate.
L’impressione è che il “princess treatment” sia una fantasia per sfuggire alle pressioni sociali e a una realtà precaria e destabilizzante pescando, in modo confuso, da un immaginario fiabesco e da un passato mai esistito. Un modo per rimettere ordine al caos che ci circonda, specialmente in campo sentimentale: gli stereotipi di genere saranno vecchi, saranno sessisti, ma almeno offrivano ruoli chiari. Una prospettiva poco edificante, ma almeno rassicurante.
Quelli che vengono chiamati “gli uomini di una volta” o “i corteggiamenti di altri tempi” somigliano più al mondo zuccherato di Brigderton e dei romanzi rosa, piuttosto che alla realtà storica di come potevano davvero essere “gli uomini di una volta”.
Se una volta le donne non pagavano conti né bollette è perché, storicamente, non potevano. Raramente avevano denaro o proprietà di cui disporre liberamente. Adesso possono scegliere di farlo, o di non farlo. In questo senso c’è chi legge il trend come una forma di empowerment, una piccola rivincita. Un gioco, perfino.
Ma sono molte di più le voci critiche: se lo chiamiamo “princess treatment” suona meno sessista? Stiamo dicendo alle ragazze che l’indipendenza economica è sopravvalutata? Che essere vulnerabili è attraente? Bastano una manciata di reel per trasformare l’infantilizzazione in cavalleria 3.0?
Tra l’altro, l’eterna questione su “chi paga al ristorante” l’aveva già risolta il galateo: paga chi invita.
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