domenica, Settembre 7, 2025

Diventare virali sui social, il metodo studiato da Harvard

Must Read

Questo articolo è stato pubblicato da questo sito

Una volta, diventare virali sui social significava accumulare visualizzazioni, like, followers e clienti. Ma l’era delle condivisioni facili è tramontata. Oggi i contenuti maggiormente visti si impongono spesso per motivi sbagliati: indignazione, polemiche, gaffe. Solo il 5% dei post sui social riesce davvero a “esplodere”, secondo un report Hootsuite, e molti lo fanno per le ragioni sbagliate. La domanda che molti content creator e brand iniziano a porsi è se ne valga ancora la pena. La risposta, secondo David Dubois, professore dell’istituto di ricerca e business school Insead ed esperto di comunicazione digitale, è sì ma con metodo.

Il modello Spread, sviluppato da Dubois e pubblicato sulla rivista Harvard Business Review, prova a portare rigore dove finora ha dominato l’istinto. Sei dimensioni, validate da anni di ricerca e formazione executive, che aiutano a prevedere se un contenuto sarà condiviso. Il modello si fonda su un principio semplice: se l’obiettivo è essere virale sui social, è necessario mostrare qualcosa che valga la pena trasmettere.

Spread: sei leve per farsi condividere (senza farsi odiare)

Il framework Spread (acronimo di Sensitive, provocative, replicable, emotional, ambiguous, distributive) propone sei dimensioni chiave per costruire contenuti di successo promuovendo engagement e visibilità senza scadere nella polemica o nella superficialità. Sensibili socialmente, la prima dimensione, parte dal presupposto che oggi la condivisione è un atto identitario. Se un contenuto aiuta a esprimere empatia, valori o appartenenza, è più probabile che venga rilanciato. La campagna Cost of Beauty di Dove e il gufo virale di Duolingo ne sono un esempio: hanno funzionato perché offrivano qualcosa in più di una risata – un messaggio in cui riconoscersi.

Poi c’è il contenuto provocatorio: sorprende, sfida, fa discutere. Ma attenzione a non scivolare nella superficialità o nell’offensivo. Patagonia ha saputo giocare bene la carta del paradosso con Don’t Buy This Jacket. “Apple, invece, ha fallito quando ha creato il suo discusso spot Crush” spiega Dubois. La provocazione, se non è consapevole, si trasforma in boomerang.

La terza leva è la replicabilità: meme, sfide, remix. Heinz ha chiesto di “disegnare il ketchup” e ha creato una valanga di contenuti spontanei. Se l’idea è semplice da imitare e stimola la partecipazione, il potenziale cresce. Ma il contenuto deve anche essere distributivo: pensato per viaggiare tra le piattaforme, senza appoggiarsi troppo a un singolo formato. È il caso della campagna di Barbie, con tool personalizzabili e hashtag intelligenti che hanno invaso i feed di tutto il mondo.

- Advertisement -spot_img
- Advertisement -spot_img
Latest News

Neutrini, parte uno dei più grandi esperimenti al mondo per dare la caccia alle particelle più misteriose e sfuggenti della fisica

Da una parte i neutrini, ovvero le particelle più misteriose, elusive e sfuggenti mai studiate dalla comunità scientifica, “sferette”...
- Advertisement -spot_img

More Articles Like This

- Advertisement -spot_img