lunedì, Settembre 8, 2025

Us Open degli anni Novanta, l'erba (non quella del campo) e il tennis mistico e ispiratore di David Foster Wallace

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David Foster WallaceSteve Liss/Getty Images

Domandarsi, a trent’anni tondi tondi da quelle righe, cosa sopravviva dalle parti di Flushing Meadows Park di quello spirito e di quel tennis mistico, paradigma geometrico e fisico capace di far innamorare un autore che ha lasciato tutti perdutamente innamorati di lui, somiglia a un virtuosismo tecnico che non assegna punti. Nel footer del sito ufficiale degli US Open, su fondo blue indigo come da palette distintiva, campeggia ancora in bella vista il nome di USTA, United States Tennis Association. Divertiva molto DFW, nelle pagine del suo lungo articolo: Un torneo Usta, precisato compulsivamente ovunque, sui pannelli, nelle brochure, nel carissimo merchandising (rimasto tale anche oggi: un semplice portachiavi tocca i 40 dollari, un asciugamani i 60). Magari ai nostri giorni più discrezione, non meno senso pratico e polso nella governance: A USTA Event recita del resto puntualmente, inequivocabilmente e pleonasticamente la meta description del sito.

Commercio e democrazia agli US Open, edizione 2025

Se più che mai il commercio è vivo e lotta insieme a noi, all’apparizione del fervore paonazzo di Donald Trump partecipe dell’inno americano viene l’idea che la democrazia goda di salute un po’ più incerta. Con quel termine di ascendenza ellenica, la democrazia, DFW si riferiva alla visione tennistica di Pete Sampras: «più caotico ma anche più umano». Ma insomma, una più estesa associazione di idee è  divertente quanto brutale.

Subito dopo si è fortunatamente aperto un altro capitolo della storia: AlcarazSinner, Sinner-Alcaraz, tra botte e risposte e un dialogo che promette di essere un monologo per tantissimo tempo. Tra la potenza muscolare e disarmante dello spagnolo (in questo momento obiettivamente apicale), e la forza mentale e spirituale dell’italiano, DFW, innamoratissimo di Federer, avrebbe probabilmente prediletto la prima. Non è sicuro. Un sospetto è che le botte da orbi tra il latino e l’altoatesino, due modi di vedere il campo e forse la vita, lo avrebbero comunque divertito da matti, e fatto scrivere parecchio. Assieme  all’immateriale certezza che questa oligarchia di anime diverse e complementari, dominatrici del tennis contemporaneo, una narrazione come la sua l’avrebbe meritata più di qualsiasi posto nel ranking e nella storia.

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