mercoledì, Settembre 10, 2025

Gli attacchi dell'Ucraina contro gli impianti di petrolio e gas in Russia stanno mettendo Mosca in grande difficoltà

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Nelle ultime settimane si stanno notevolmente intensificando gli attacchi dell’Ucraina contro la produzione di petrolio e gas in Russia. Depostiti di carburante, raffinerie e impianti di stoccaggio. Una modalità che sta costringendo la Russia a interventi di manutenzione, a chiusure di impianti e a prorogare fino a settembre il divieto di esportazione di benzina per i produttori.

L’ultimo attacco avvenuto nella notte del 5 settembre ha preso di mira la raffineria della compagnia petrolifera Rosneft a Ryazan, a 180 chilometri da Mosca, con una capacità produttiva da 6 milioni di tonnellate di carburante all’anno e un deposito di carburante nella provincia (oblast) occupata di Luhansk. A fine agosto, invece, si erano verificate alcune offensive con droni che hanno messo temporaneamente fuori uso la raffineria di Afipsky e quella di Kuybyshev, nella regione russa di Samara.

Il petrolio come arma di guerra tra Ucraina e Russia

Le conseguenze degli attacchi ucraini in Russia

Come spiega a Wired Clayton Seige, senior fellow dell’Energy security and climate change program al Csis di Washington, “nel contesto più ampio dell’ondata di attacchi di agosto, in cui sono stati colpiti 9 impianti causando un picco di interruzione pari a 1,2 milioni di barili al giorno, la Russia potrebbe trovarsi in difficoltà nel prepararsi per la stagione invernale” dove la domanda di gasolio aumenta. “Con i suoi ultimi attacchi, l’Ucraina ha messo fuori uso circa il 15-20% della capacità di raffinazione russa”, spiega sempre a Wired Skip York, fellow al Center for energy studies del Baker institute in Texas. Una percentuale che, finora, ha portato “a carenze di carburante piuttosto localizzate”, ma anche all’effetto incrociato con “le esportazioni di prodotti raffinati che stanno calando mentre le esportazioni di greggio aumentano”.

Sulla portata di questi attacchi e sulle conseguenze sulle esportazioni di greggio, “i rischi per i flussi commerciali riguardano più che altro la riduzione delle esportazioni di prodotti raffinati”, spiega York. E ci sono ripercussioni sui mercati: “Il 2 settembre, i prezzi all’ingrosso hanno raggiunto il record di 81.500 rubli [829 euro, ndr] per tonnellata alla Borsa internazionale delle merci di San Pietroburgo. Ciò è stato preceduto da carenze di benzina e razionamenti”, ci dice Oleksandr Shepotylo, economista della Aston University di Birmingham.

Quali paesi importano combustibili fossili dalla Russia

Cina, India e Turchia sono stati i tre maggiori importatori di petrolio nel primo semestre del 2025. Tra i primi dieci ci sono anche due paesi dell’Unione europea: Slovacchia e Ungheria. I dati condivisi da Shepotylo con Wired mostrano un trend in negativo rispetto al 2024, ma non per tutti. “Si noti che, mentre nel 2025 la maggior parte dei paesi acquista meno petrolio ed energia dalla Russia, Ungheria e Slovacchia stanno in realtà aumentando le loro importazioni. In questo contesto, le forze armate ucraine hanno condotto con successo attacchi contro l’oleodotto Druzhba, che trasporta petrolio russo verso Ungheria e Slovacchia”, afferma. Due paesi che fanno eccezione e che insieme “dal 2021 hanno pagato oltre 35 miliardi di dollari alla Russia”.

Le variabile sugli scenari futuri sono legate a quanto – e in che modo – questi attacchi continueranno a essere condotti, in particolare se Kyiv deciderà di continuare a colpire strutture di esportazione. “Se l’Ucraina riuscisse ad aumentare la potenza distruttiva inflitta alle raffinerie russe, mantenendo inattivi volumi maggiori per periodi più lunghi, Mosca subirebbe un maggiore stress finanziario e carenze di carburante, potenzialmente anche per le forze armate”, aggiunge Clayton Seige da Washington. L’obiettivo di Kyiv è quello di sfiancare la Russia e la sua capacità di poter sostenere la guerra ancora a lungo. “L’unico modo per convincere la Russia a desistere è infliggerle danni sufficienti affinché i guadagni non valgano i costi in termini di prosecuzione della guerra. Questo significa che l’Ucraina è costretta a portare la guerra sul campo del nemico”, dice a Wired in un’intervista Keir Giles, analista ed esperto in proiezione di potenza della Russia alla Chatham House di Londra.

Le armi – non solo materiali – in mano a Kyiv

Uno dei pilastri centrali della strategia ucraina è stato individuato molto presto: influenzare la popolazione russa, non le forze armate, ma i civili dietro le linee che, nelle prime fasi della guerra, potevano convincersi che i combattimenti non li riguardassero e che non ne sarebbero stati colpiti, poiché tutto avveniva lontano”, spiega. “L’impatto diretto sull’economia e su elementi percepibili dalla popolazione – come la disponibilità di carburante – è un modo per farlo, oltre all’influenza sull’economia russa, che già fatica a sostenere lo sforzo bellico”, aggiunge. Intanto Kyiv ha presentato un nuovo missile di produzione domestica da 1150 chili di testata e che può arrivare fino a 3000 chilometri oltre il confine ucraino. Insieme al FP-1, alle operazioni con droni più piccoli e a una crescita esponenziale dei numeri di produzione – con un piano per arrivare a 10 milioni di droni all’anno – consente a Kiev di poter implementare queste operazioni, senza dipendere solo dagli aiuti (e dai missili Atacms) statunitensi.

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