lunedì, Settembre 29, 2025

Alberto Trentini ha ricevuto la prima visita in carcere, dopo dieci mesi, dall'ambasciatore italiano in Venezuela

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Una notizia inattesa nel caso di Alberto Trentini. L’ambasciatore italiano Giovanni Umberto De Vito ha potuto finalmente incontrare il cooperante veneziano di 46 anni detenuto dal novembre 2024 nel carcere El Rodeo I, alla periferia di Caracas, insieme a Mario Burlò, imprenditore italiano sotto processo a Torino per reati fiscali di cui non si avevano notizie certe da mesi. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha confermato la visita durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite in corso a New York, precisando che entrambi sarebbero stati trovati “in buone condizioni, anche se un po’ dimagriti”. La visita, avvenuta dopo oltre dieci mesi di isolamento totale, segna un possibile cambio di strategia del regime venezuelano che fino ad ora aveva negato qualsiasi contatto con la diplomazia italiana, rifiutando persino di formulare accuse formali.

Cosa è successo in oltre 300 giorni di detenzione

Il cooperante italiano era stato fermato il 15 novembre mentre viaggiava da Caracas a Guasdualito per conto della ong Humanity & Inclusion, organizzazione internazionale che assiste persone con disabilità. Era arrivato in Venezuela il 17 ottobre 2024 per una missione umanitaria, ma al posto di blocco è stato arrestato insieme all’autista venezuelano Rafael Ubiel Hernández Machado e immediatamente affidato alla Direzione generale del controspionaggio militare (Dgcim), uno degli organi repressivi più rigidi dell’apparato di sicurezza venezuelano. L’avvocata Alessandra Ballerini ha ripetutamente sottolineato come si tratti di una sparizione forzata, non di un normale procedimento giudiziario, dato che fino ad ora non sono mai state formulate accuse formali, anche se secondo alcune fonti pare sia accusato di terrorismo. Né, fino a qualche giorno fa, era mai stato concesso l’accesso consolare.

La famiglia di Trentini ha trascorso mesi senza ricevere risposte istituzionali prima di scegliere di rendere pubblica la vicenda. La madre Armanda Colusso, inizialmente favorevole al riserbo per facilitare eventuali trattative, ha progressivamente intensificato gli appelli pubblici, arrivando a confrontare esplicitamente il caso del figlio con quello della giornalista Cecilia Sala durante un’intervista a Che Tempo Che Fa e in una lettera pubblicata su Repubblica. Parallelamente, le iniziative di mobilitazione hanno preso forza. La petizione lanciata su Change.org ha raccolto oltre 100mila firme, mentre azioni simboliche come il digiuno a staffetta e la manifestazione navale organizzata a Venezia nel maggio 2025 — che ha visto la partecipazione di circa 50 imbarcazioni lungo il canal Grande — hanno contribuito a mantenere viva l’attenzione mediatica e a dare visibilità internazionale al caso.

Intanto il governo italiano si è trovato in una posizione negoziale sempre più difficile. A gennaio, due mesi dopo l’arresto, Palazzo Chigi ha tenuto una riunione di alto livello con la partecipazione del ministro Tajani, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, del sottosegretario Alfredo Mantovano e dei vertici dell’intelligence, confermando che la Farnesina stava “attivando tutti i canali possibili” per una soluzione positiva. A marzo lo stesso Tajani aveva ammesso che la “trattativa è molto complicata”, mentre ad aprile la premier Giorgia Meloni ha personalmente contattato la madre di Trentini per rassicurarla sull’impegno del governo. Nei mesi successivi ci sono state anche due telefonate tra Trentini e la sua famiglia — una a maggio e una a luglio — che hanno permesso almeno un minimo contatto diretto con il giovane detenuto. Tuttavia, le critiche sulla mancanza di risultati concreti sono però aumentate: l’avvocata Ballerini ha evidenziato come per Trentini non sia stato fatto quello che era stato fatto per Sala, riferendosi alla necessità di un contatto politico diretto con Caracas. La svolta è arrivata durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quando Maduro ha deciso di consentire alcune visite consolari a prigionieri europei. Un gesto che sembra mirato a stemperare la pressione internazionale, dopo mesi in cui il paese ha visto intensificarsi il proprio isolamento diplomatico a seguito delle elezioni di maggio 2025, vinte nuovamente da Maduro ma ampiamente contestate per sospetti di brogli.

Il sistema repressivo venezuelano

La detenzione di Trentini si inserisce in un modello consolidato di repressione che il governo di Nicolás Maduro utilizza sistematicamente contro cittadini stranieri e oppositori politici. Come riportava il quotidiano Il Foglio a gennaio, secondo il Foro Penal venezuelano, organizzazione che monitora i prigionieri politici, attualmente in Venezuela sono registrati 1.687 detenuti politici, un numero che include venezuelani con doppia cittadinanza e stranieri utilizzati come pedine negoziali. Negli ultimi anni, questo fenomeno è stato definito come “diplomazia degli ostaggi” e ha assunto dimensioni sempre più rilevanti. Come osservano diversi analisti, le detenzioni arbitrarie hanno smesso di rappresentare un semplice costo politico, trasformandosi in una risorsa potenzialmente utile a ottenere vantaggi diplomatici.

La strategia negoziale del regime venezuelano, infatti, si è rivelata efficace in diverse occasioni. Nel 2023 il governo di Caracas ha rilasciato decine di prigionieri, inclusi 10 americani, in cambio della liberazione di Alex Saab, uomo d’affari colombiano vicino a Maduro accusato di riciclaggio negli Stati Uniti. Più recentemente, a febbraio, l’inviato dell’amministrazione Trump Richard Grenell ha ottenuto il rilascio di sei cittadini americani dopo un incontro diretto con Maduro. Una mossa che ha sollevato critiche per la legittimazione implicita del regime autoritario, ma che ha dimostrato l’efficacia della diplomazia diretta. Solo a gennaio Maduro ha annunciato la cattura di quelli che ha definito 127 mercenari stranieri provenienti da 25 paesi diversi (tra cui l’Italia), accusati di complotti terroristici mai provati.

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