giovedì, Settembre 25, 2025

Apple contro la normativa europea (Dma) che imbriglia le big tech, ma per l’Unione europea difendere la concorrenza è un valore

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È scontro tra Apple e l’Unione europea. Con un documento di 25 pagine depositato nell’ambito della prima revisione della legge, la società di Cupertino ha chiesto l’abrogazione del Digital markets act (Dma), la normativa entrata in vigore nel marzo 2024 con l’obiettivo di limitare il potere dei grandi colossi tecnologici e aprire nuovi spazi di mercato. Per Apple, però, le regole introdotte da Bruxelles starebbero producendo l’effetto contrario: rallenterebbero l’arrivo di funzioni innovative, metterebbero a rischio la sicurezza dei dispositivi e finirebbero per danneggiare proprio gli utenti che la legge intende proteggere. Per questo motivo, ora che Bruxelles ha avviato una revisione della normativa, Cupertino ha chiesto, al suo posto, “uno strumento legislativo più appropriato e adatto allo scopo”. La Commissione europea, da parte sua, ha respinto le accuse e difende il Dma come un tassello fondamentale della sua strategia digitale. Il portavoce della Commissione Thomas Regnier ha fatto sapere che “la conformità al Dma non è facoltativa ma obbligatoria

Cos’è il Dma e perché non piace a Apple

L’Europa ha impiegato anni per costruire lo strumento normativo che oggi minaccia l’impero di Apple. Il Digital markets act nasce dopo oltre un decennio di battaglie antitrust che hanno visto Bruxelles multare ripetutamente Google, indagare Amazon e Facebook, senza però riuscire mai a intaccare davvero il potere dei colossi tecnologici. La crescente preoccupazione europea per il dominio delle big tech americane ha portato nel 2022 all’adozione di una legge innovativa, che invece di affrontare le violazioni caso per caso, impone obblighi preventivi alle aziende identificate come “gatekeeper”, ossia quelle che svolgono una funzione centrale nel controllo dell’accesso ai mercati digitali. Le aziende finite sotto osservazione sono: le americane Alphabet, Amazon, Apple, Meta e Microsoft, la cinese ByteDance e l’olandese Booking.com. Per Apple, la designazione a gatekeeper ha un impatto diretto sul suo modello di business: l’azienda deve aprire iOS, App Store, Safari e iPadOS alla concorrenza, rendendo accessibili a terzi funzioni finora gestite esclusivamente. Questo obbligo incide sul modello chiuso su cui Apple ha costruito la propria posizione dominante, basato sul controllo della distribuzione delle app, delle transazioni e dell’accesso alle piattaforme. A rendere il quadro ancora più vincolante ci sono le sanzioni previste dal Dma: multe fino al 10% del fatturato globale annuo, che possono arrivare al 20% per le recidive.

A fronte di tutto ciò Apple ha inizialmente cercato di conformarsi alla normativa, annunciando nel gennaio 2024 oltre 600 nuove API e strumenti per sviluppatori per adeguarsi ai requisiti del Dma. Ma dopo un anno di applicazione effettiva, l’azienda ha progressivamente alzato il livello dello scontro: fino a subire nell’aprile 2025 una multa di 500 milioni di euro per pratiche anti-steering, contro la quale ha già presentato ricorso, e adesso si è arrivati al massimo dello scontro, con la richiesta da parte dell’azienda dell’abrogazione tout court della legge. Secondo Cupertino, “i regolatori sostenevano che il Dma avrebbe promosso la concorrenza e dato più scelte ai consumatori europei. Ma la legge non sta mantenendo queste promesse. Sta avendo effetti opposti“.

A conferma di questo, il caso della traduzione in tempo reale degli AirPods Pro: la funzione è già disponibile negli Stati Uniti, ma resta bloccata in Europa perché il regolamento impone di renderla compatibile con le cuffie concorrenti prima del lancio. Apple ha fatto sapere di aver “suggerito modifiche a queste funzionalità per proteggere i dati dei nostri utenti, ma finora la Commissione europea ha respinto le nostre proposte”. Ma è sul fronte della sicurezza che Cupertino lancia l’allarme più grave: l’obbligo di permettere l’accesso a store di app alternativi ha aperto le porte a contenuti che Apple aveva sempre bandito. App pornografiche e piattaforme di gioco d’azzardo non regolamentate circolano ora liberamente su iPhone attraverso marketplace come AltStore, aggirando i controlli che per oltre 15 anni hanno protetto l’ecosistema iOS.

La risposta dell’Ue

Dopo la richiesta di Apple di abrogare il Dma, la Commissione europea è intervenuta per chiarire la propria posizione, lasciando intendere che non intende fare concessioni. Mercoledì un portavoce ha ricordato che “i gatekeeper, come Apple, devono garantire l’interoperabilità dei dispositivi di terze parti con i propri sistemi operativi”, sottolineando che la conformità al Dma non è facoltativa, ma obbligatoria. La Commissione ha aggiunto di non essere sorpresa dalla richiesta dell’azienda, precisando che Apple ha contestato la legge in ogni fase del processo e ha ignorato i tentativi di Bruxelles di avviare colloqui costruttivi per facilitarne l’applicazione. E ha aggiunto “Comprendiamo che le aziende vogliano proteggere i propri profitti, ma questo non è lo scopo del Dma”. Lo scontro, tuttavia, non riguarda solo Apple, ma coinvolge anche gli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump ha dichiarato che imporrà dazi sui paesi che adottano norme digitali percepite come discriminatorie verso le aziende americane. L’amministrazione statunitense e alcuni suoi alleati hanno inoltre criticato il Digital services act (Dsa), legge gemella del Dma che regola le piattaforme di social media, accusando Bruxelles di censura e sostenendo che la normativa imponga costi e vincoli troppo elevati alle aziende statunitensi.

Se è vero che per l’Unione europea il Dma non può essere messo in discussione, è altrettanto vero che stiamo parlando di una legge che non è immutabile. Essendo la prima normativa di questo tipo a livello mondiale, il legislatore europeo l’ha concepita proprio come uno strumento dinamico, capace di adattarsi e migliorarsi attraverso un dialogo continuo con cittadini e grandi aziende tecnologiche. La revisione prevista entro maggio 2026 rappresenta una fase cruciale per valutare l’efficacia del Digital markets act e il suo impatto sui mercati digitali.

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