martedì, Settembre 2, 2025

Virus, potrebbero essere la chiave per combattere i superbatteri

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Nel 2015 Steffanie Strathdee, illustre professoressa di medicina e preside associato di scienze della salute globale presso la University of California, San Diego (Ucsd), si è ritrovata di fronte a un tipo di infezione resistente agli antimicrobici in cui non si era mai imbattuta . Il paziente coinvolto era un uomo che aveva sviluppato una pancreatite; ulteriori indagini avevano però rivelato che l’infiammazione del pancreas era solo la punta dell’iceberg. Una tac ha portato alla luce una grande pseudocisti, una sorta di sacca all’interno dell’addome dell’uomo, che probabilmente era si portava dietro da mesi. La pseudocisti si è dimostrata l’ambiente perfetto per ospitare i batteri, nello specifico un genere particolarmente pericoloso: un ceppo multiresistente di Acinetobacter baumannii, un batterio che è in cima all’elenco degli agenti patogeni per i quali secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sono necessari nuovi antibiotici.

L’infezione del paziente era resistente a quasi tutti gli antibiotici, con una sensibilità solo parziale ad alcuni farmaci “di ultima istanza”, riservati alle infezioni resistenti agli antibiotici più gravi e con possibili pesanti effetti collaterali. Di fronte a un’infezione che stava rapidamente peggiorando, Strathdee era alla disperata ricerca di una soluzione che potesse salvare la vita dell’uomo. Per la professoressa si trattava di un caso particolarmente importante, dal momento che di fronte non aveva un paziente. L’uomo era suo marito.

Vacanza con “imprevisto”

Quando le cose avevano cominciato ad andare male Strathdee e suo marito, Thomas Patterson, erano in vacanza in Egitto. Avevano appena finito di godersi l’ultima cena del loro viaggio, quando Patterson aveva iniziato a sentirsi male. “Ho pensato che avesse un’intossicazione alimentare ed ero un po’ seccata perché mi non mi faceva dormire”, racconta Strathdee. Ma la mattina dopo le condizioni di Patterson sono peggiorate, e una visita alla clinica locale ha prodotto una diagnosi di pancreatite acuta. Patterson è stato trasportato in Germania, dove è stata scoperta la pseudocisti, grande quanto un pallone da calcio e piena di liquido marrone torbido, segno di un’infezione microbica. Un esame colturale di un campione ha restituito  risultati sono più preoccupanti: il batterio in questione era l’A. baumannii.

Per Strathdee, le implicazioni dei risultati del test non sono state immediatamente evidenti. La professoressa, specializzata in epidemiologia, ricordava di aver studiato l ‘A. baumannii durante la sua formazione universitaria in microbiologia, decenni prima. Ma con l’aumento della resistenza antimicrobica, l’A. baumannii si era nel frattempo evoluto in una minaccia molto più pericolosa. Negli Stati Uniti è stato ribattezzato il “batterio iracheno, a causa della sua prevalenza tra i soldati feriti che avevano contratto infezioni durante il servizio in Iraq e in altri paesi del Medio Oriente. Il motivo per cui questo batterio rappresenta una minaccia così preoccupante è la sua abilità nello sviluppare una resistenza agli antibiotici attraverso molteplici meccanismi – tra cui i plasmidi, molecole di dna che vengono passate da un batterio all’altro – che fa sì che molte infezioni causate dall’A. baumannii siano resistenti a diversi farmaci, se non addirittura a tutti.

Un test di sensibilità agli antibiotici ha rivelato che l’infezione di Patterson era effettivamente altamente resistente ai farmaci. L’uomo è stato quindi trasportato in elicottero a San Diego, nel reparto di terapia intensiva. In un certo senso, Strathdee e Patterson avevano parecchi fattori che giocavano dalla loro parte: erano tornati nel loro paese e i principali esperti che si occupavano dell’infezione di Patterson non erano solo colleghi ma anche amici. Robert “Chip” Schooley, responsabile del reparto di malattie infettive dell’Ucsd, aveva offerto i suoi consigli fin dall’inizio della malattia di Patterson, prima per telefono e poi di persona. Tuttavia, dato che l’infezione aveva sviluppato una resistenza a tutti gli antibiotici, non c’era molto da essere ottimisti. La pseudocisti era ancora presente e Patterson era diventato così fragile che l’intervento chirurgico non era un’opzione; senza poter ricorrere a farmaci, il rischio che l’infezione potesse entrare nel flusso sanguigno dell’uomo era troppo alto.

Alla ricerca di un’alternativa

Per diversi mesi le condizioni di Patterson continuarono ad aggravarsi. Uno dei tubi di drenaggio che erano stati posizionati nell’addome dell’uomo per rimuovere il liquido infetto si spostò, causando la diffusione dei batteri  nel flusso sanguigno e quindi uno shock settico. I batteri ora si trovavano ovunque, colonizzando l’intero corpo dell’uomo. I suoi organi cominciarono a non funzionare più e Patterson entrò in coma.

Dal momento che gli antibiotici non erano un’opzione, nel tentativo di trovare una cura per suo marito Strathdee decise di non lasciare nulla di intentato : “Ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque: ho cercato su internet” racconta. Mentre consultava i risultati del motore di ricerca biomedico PubMed la professoressa si è imbattuta in un’idea insolita: i batteriofagi. Un batteriofago (o semplicmento fago) è un tipo di virus che infetta i batteri ma non le cellule umane. Una volta che infetta una cellula batterica, il fago di fatto ne sabota i meccanismi trasformandola in una specie di macchina produttrice di nuovi fagi, che poi escono dalla cellula, distruggendola, un processo chiamato lisi.

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