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Come definireste il vostro stile?
Un’enciclopedia di fotografia canonica classificherebbe Foto Marvellini come “Ritratti elaborati digitalmente”. Ma noi ci vediamo molto più vicini alla fotografia di scena. Scritturiamo attori facendo casting da antiche lastre, dagherrotipi, o album di famiglia e scegliamo lì i performer che andranno in scena nei racconti-ritratto.
Quali sono i vostri soggetti preferiti?
I veri protagonisti che ci colpiscono e affascinano sono le donne e gli uomini ritratti nel passato in cui ci imbattiamo durante le fasi di ricerca. Riguardo ai personaggi che interpretano, alle maschere, abbiamo in effetti un debole per i fumetti e i cartoni della nostra adolescenza. Goldrake in particolare, tra i tanti. Siamo affascinati anche da Batman, forse per quel suo essere un “normale” umano travestito, senza poteri derivati da incidenti spaziali o incontri extraterrestri come è successo invece a tutti gli altri Supereroi.
La vostra poetica si lega a un’idea di Surrealismo o piuttosto a una sorta di “what if”, a una specie di straniamento spazio-temporale?
Il Surrealismo è più vicino alla filosofia di quanto lo siamo noi. Ha il fine dichiarato di liberare le potenzialità immaginative dell’inconscio. I surrealisti puri hanno la convinzione di poter raggiungere, con le loro opere, l’espressione di uno stato cosciente superiore, inteso come “oltre” la realtà. Marvellini non è cattedratico, né militante. La nostra poetica è più dolce, come dire? Di provincia. Ci piace molto il termine “Amarcord”, già per il fatto di essere coniato da un espressione dialettale riminese. Come nelle rappresentazioni felliniane, anche le più oniriche, alla base dei nostri lavori c’è un nostalgico racconto del passato. E anche se non vissuto direttamente, ci suscita una commozione che ci ispira, ce lo fa sentire come nostro. Il non essere, o non essere più, che l’intervento di fotomontaggio innesca restituisce anche un sentimento di inquietudine, quasi da ritratto post mortem. Ma il perturbante di Foto Marvellini, che colpisce lo spettatore al primo impatto, è più un mezzo che un fine. Così anche l’ironia, quando è presente. Per restare ancora su Fellini, citiamo una frase di Laozi come faceva anche lui, dice: “Appena ti fabbrichi un pensiero, ridici sopra”.
Negli anni il vostro stile è cambiato?
Abbiamo stabilito già dall’inizio che Marvellini è un orto dai confini ben definiti. Questo aiuta a restare nel progetto e a trovare nuove idee ma senza perdersi nell’universo della fantasia. Poi, certo, siamo un collettivo e il singolo deve fare i conti con il proprio impulso creativo, forse anche con il desiderio di liberarsi dalla dipendenza ed esprimersi con nuove sperimentazioni, materiali e contenuti. Per prendere fiato dal progetto principale lasciamo spazio a espressioni parallele, che scherzosamente chiamiamo “spino-off”, perché hanno un effetto riabilitativo. Ad esempio, in questo periodo i Foto Marvellini stanno lavorando a una nuova serie di ritratti fotografici ispirati alla moda, Marvellini Vogue, ma nel contempo Andrea Marvellini sta trattando anche degli arazzi e dei vecchi ricami mezzo punto con inserimento di particolari contemporanei, sempre in filato, mentre Carlo Marvellini elabora stampe antiche, rigenerandole a calcografia con torchio manuale da lastra incisa.
Douggy Pledger e gli scherzi dell’A.I.
Douggy Pledger, creative designer britannico attivo in vari campi, ha anche pubblicato un libro, “To Hell with A.I.”, un repertorio di immagini derivate da un’incursione dell’intelligenza artificiale nei territori di tutto cià che è inquietante e bizzarro.