venerdì, Settembre 12, 2025

Covid-19: perché non stiamo vivendo un déjà vu di tre anni fa

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Forse si tratta, ora, di trovare la giusta via di mezzo tra allarmismo e ottimismo. Da un lato è irragionevole, infatti, azzardare una sovrapposizione sostanziale tra l’oggi e lo scenario di inizio 2020, anzitutto per via dei vaccini, dei trattamenti e della nostra conoscenza sulla natura del virus, ma anche per tutta una serie di comportamenti, dispositivi, convenzioni e regole che oggi possiamo dare per assodate e che rappresentano elementi utili a scongiurare che la situazione finisca fuori controllo. Come tre anni fa non avremo più Immuni ad accompagnarci, è vero, ma sappiamo bene che non è un’app di quel genere a fare la differenza.

Dal lato opposto, comunque, anche gongolarsi in un ingiustificato ottimismo sarebbe folle, sia perché misure come mascherine, distanziamenti, campagne vaccinali, quarantene e precauzioni varie continuano e continueranno a essere utili, sia perché di fronte a una situazione in inevitabile evoluzione mantenere alta l’allerta – ed essere pronti a intensificare le misure qualora necessario – è un’abitudine che non va persa. E che non dovremmo perdere mai, nemmeno quando il Covid-19 resterà solo materia da libri di storia e di microbiologia.

Repliche

Tornando all’oggi, non c’è dubbio che le notizie per nulla rassicuranti in arrivo dalla Cina suscitino una certa preoccupazione anche in tutto il resto del mondo, Italia inclusa. Non si può però togliere dall’equazione una variabile, ossia – come anticipato – che il paese guidato da Xi Jinping è improvvisamente passato da una politica Covid zero a una linea sia quel che sia, senza però avere solide basi in termini di infrastrutture, vaccinazioni, politica sanitaria e gestione delle persone che si infettano.

Vale a dire, se nello scenario di inizio pandemia potevamo ipotizzare che l’impatto sulla salute pubblica generato dal virus in un paese come la Cina si sarebbe replicato pressoché identico anche in molti altri paesi nel mondo, oggi non è affatto detto che valga lo stesso ragionamento. Anzi, sappiamo per certo che le condizioni di partenza del contesto cinese sono ben diverse rispetto a quelle di paesi come quelli europei. Sarebbe presuntuoso sostenere di essere al sicuro, ma è pur vero che non siamo più spaesati, presi alla sprovvista e a mani nude come è stato – checché ne dica la classe politica – a inizio 2020.

Convivenze

Entriamo nel 2023, di fatto il quarto anno di pandemia di Covid-19, con alcune certezze. O meglio, certezze sull’inevitabile incertezza con cui dobbiamo convivere. Anzitutto, grazie alle nuove piattaforme per realizzare i vaccini e non solo, abbiamo un insieme di frecce e di opzioni al nostro arco con cui fronteggiare un eventuale aggravarsi della situazione. Poi, la consapevolezza che la pandemia non è finita e che, in un certo senso, non finirà mai, dato che al momento non si può certo escludere che qualcuna delle varianti del Sars-Cov-2 possa continuare a circolare a tempo indeterminato.

Ancora, abbiamo l’evidenza di quanto – in una società sempre più globalizzata e che sottrae spazi alla natura – la minaccia di un patogeno che mette alla prova la tenuta dei sistemi sanitari sia sempre dietro l’angolo, che si tratti dell’ennesima nuova variante di un virus noto oppure di un microrganismo del tutto nuovo. L’essere concretamente pronti di fronte a questa eventualità, qualunque sia il momento e la forma in cui si manifesta, è il modo migliore che abbiamo di guardare alle epidemie emergenti, per scongiurare di finire davvero in un déjà vu di tre anni fa.

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