giovedì, Settembre 11, 2025

Intelligenza artificiale, gli Stati Uniti le hanno fatto pilotare un drone

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Su come sarà la guerra di domani si interrogano in tanti, ma una cosa è certa: l’intelligenza artificiale continuerà a rivestire un ruolo chiave, soprattutto nella pianificazione delle risorse da dispiegare in campo – economiche, materiali e umane.

Lo dimostra uno degli ultimi esperimenti dell’Air Force statunitense, condotto il 25 luglio scorso nella base di Eglin, in Florida, all’interno del programma Lcasd dell’Air Force Research Laboratory. L’acronimo Lcasd sta per “dimostratore di colpi sacrificabile e a basso costo”. Il programma, lanciato nel 2016, ha come scopo interno quello di testare droni da attacco di produzione economica al fine di non gravare troppo sul bilancio militare degli Stati Uniti.

L’esperimento, la cui riuscita è stata comunicata il 2 agosto sui canali dell’Aeronautica statunitense, consisteva nella simulazione di volo di un drone XQ-58A Valkyrie pilotato da un software d’intelligenza artificiale. Il volo, durato tre ore, sarebbe il primo pilotato da intelligenza artificiale e senza equipaggio a bordo per questo modello di drone.

I velivoli da combattimento collaborativi (Cca, ndr) sono rivoluzionari”, sostiene Matthew Niemec, che dirige la sperimentazione sui velivoli autonomi, in un video pubblicato più di un mese fa sul canale YouTube delle forze aeree Usa: “È fondamentale, ora più che mai, comprendere a fondo la reale competitività delle armi autonome in guerra”.

Il drone

A questo scopo, è importante tenere a mente di quale tipologia di arma autonoma stiamo parlando: l’XQ-58 Valkirye è un velivolo a pilotaggio remoto, in fase di sviluppo da parte della Kratos Unmanned Aerial Systems e della Security Solutions.

L’XQ-58 è stato progettato per fungere da “spalla” sotto il controllo di un aereo-madre, per svolgere compiti come ricognizione, fuoco difensivo o assorbire il fuoco nemico. È inoltre dotato di tecnologia stealth, che dovrebbe renderlo meno visibile degli altri velivoli ai radar, sonar e raggi infrarossi. Il risultato del volo di qualche settimana fa è stato raggiunto dopo due anni di collaborazione tra la Skyborg Vanguard, il team del laboratorio e l’Air Force Life Cycle Management Center. Secondo le forze armate l’algoritmo di machine learning, chiamato “agente ML”, è stato persino in grado di risolvere un problema tatticamente rilevante durante il volo.

I simulatori virtuali

Allenare le reti neurali richiede milioni di test, operazione non effettuabile nel mondo reale. Ecco perché l’Air Force ha optato per i simulatori virtuali – oltre che per ovvie ragioni di sicurezza, essendo i piloti (umani) davanti allo schermo di un computer. All’interno di un simulatore virtuale, infatti, il programma (algoritmo) di riferimento viene allenato diverse milioni di volte nell’arco di sole 24 ore, compiendo ripetutamente azioni che nel combattimento reale si verificherebbero solo saltuariamente.

Una volta addestrato a sufficienza, l’algoritmo dovrebbe essere in grado di pilotare autonomamente il velivolo, risolvendo i problemi incontrati sul percorso. “Dovrebbe”, perché si tratta di tecnologie ancora in fase di sviluppo, il cui successo dipende dalla dimensione dei dataset disponibili (dalla quantità e dalla qualità delle sessioni di training) e sempre e in ogni caso soggette a errore umano.

Non mancano le considerazioni etiche. In molti si sono chiesti – e continuano a chiedersi – quanto sia legittimo affidare alle armi autonome il potere di decidere se e quando mettere fine a una vita umana. Nonostante il Dipartimento della difesa statunitense si dichiari “attento all’uso responsabile dell’intelligenza artificiale”, è disposto a proseguire con la ricerca su quelli che organizzazioni come Human Rights Watch hanno definito “killer robots”. Per il programma Cca l’Air Force ha pianificato investimenti fino a 6 miliardi di dollari tra il 2024 e il 2028, al fine di “prepararsi a un potenziale conflitto con avversari avanzati”.

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