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Gli italiani temono per la propria salute. Ed è una paura molto radicata: quasi un cittadino su quattro, infatti, è convinto che la salute della popolazione sarà peggiore entro cinque anni, percentuale che sale a uno su due se si estende l’intervallo temporale ai prossimi vent’anni. È il dato principale che emerge da un’indagine demoscopica appena condotta da AstraRicerche, in collaborazione con Novartis Italia, sul tema del futuro della salute nel nostro paese. C’è un lumicino di speranza: il sondaggio ha messo in luce che i nostri connazionali si sono detti convinti che innovazione, ricerca scientifica, diffusione dell’assistenza domiciliare e sviluppo di partenariati pubblico-privato siano i fattori chiave per contrastare questa previsione negativa.
Cosa dicono i dati
Vediamo più da vicino i risultati dell’indagine, condotta su circa mille persone tra cittadini e medici. Oltre ai dati già citati, due elementi particolarmente interessanti sono il fatto che le nuove generazioni si dicono più preoccupate degli adulti (il 55% dei giovanissimi è sfiduciato rispetto al futuro della salute) e soprattutto il punto di vista dei medici, che con la salute hanno a che fare ogni giorno: il 50% e il 61% dei professionisti della sanità è convinto che la salute della popolazione peggiorerà rispettivamente tra 5 e 20 anni (il che si scosta del 12% e del 14% rispetto alla media del campione). I ricercatori hanno chiesto anche conto delle cause di tanta sfiducia: il 42% degli intervistati ha citato in proposito la sempre maggiore pressione sul Sistema sanitario nazionale, il 38% ha fatto riferimento all’aumento dei tumori, un altro 38% all’aumento dell’incidenza di malattie collegate a stili di vita errati e il 37% al peggioramento della salute mentale, in particolare dovuto a disturbi come ansia e depressione. Le percentuali sono risultate simili anche tra i medici (a testimonianza del fatto che anche i non professionisti hanno il polso della situazione e sanno individuare le minacce più plausibili), che hanno aggiunto all’elenco anche la carenza del personale sanitario (e gli episodi di burnout tra il personale sanitario, esacerbati dalla pandemia) e l’incremento delle malattie croniche.
Questa percezione si traduce, naturalmente, nella paura del domani. I sondaggisti hanno infatti misurato anche il cosiddetto Indice di preoccupazione per il futuro (Ipf), constatando che effettivamente il 61% degli italiani avverte un alto livello di ansia per il domani (in particolare tra le donne e gli over 65), soprattutto a causa delle preoccupazioni ambientali (54%), delle guerre (49%), della povertà e delle disuguaglianze (48%). La preoccupazione per la salute inquieta il 35% degli intervistati, superando quella per il razzismo, per l’estremismo e per il calo delle nascite.
Le altre minacce: invecchiamento e malattie legate all’età
Curiosamente, gli intervistati non hanno citato (o lo ha fatto solo una piccola percentuale) altri aspetti che notoriamente mettono in pericolo la salute di domani, primo fra tutti l’invecchiamento della popolazione e il conseguente aumento delle malattie legate all’età. A questo proposito, uno studio recentemente condotto dalla Società italiana di cardiologia geriatrica (Sicge) su un campione di circa mille anziani in dieci piccoli comuni con meno di 3mila abitanti distribuiti su tutto il territorio nazionale ha evidenziato “una prevalenza di circa il 30% di patologie vascolari nelle forme lieve e moderata, tre volte più alta rispetto a quella stimata fino a oggi (10-12%), con un’alta percentuale di ipertesi (83%), di diabetici (19%) e di dislipidemici (83%)”. Un altro elemento da tenere in debita considerazione nella pianificazione delle strategie sanitarie di domani.
Finché c’è ricerca c’è speranza
Fortunatamente, i nostri concittadini si sono detti anche fiduciosi in un contrasto del declino previsto, soprattutto grazie all’innovazione diagnostica (40%) e terapeutica (39%), ai progressi della ricerca scientifica per trattare malattie incurabili (39%), all’avanzamento della tecnologia e della telemedicina (38%) e alla diffusione di pratiche come l’assistenza domiciliare (78%) e lo sviluppo di partnership pubblico-privato (72%). Oltre a questi elementi, i medici hanno citato anche i contributi della prevenzione e delle attività di screening e la medicina personalizzata.
Chi dovrà fare tutto questo? Secondo gli intervistati, il ruolo fondamentale sarà svolto da ricercatori (73%), medici e infermieri (68%), ma anche dai singoli non impegnati professionalmente nel campo sanitario – coinvolti attraverso campagne di sensibilizzazione e consapevolezza –, dalle aziende farmaceutiche, dalle istituzioni e dalle associazioni dei pazienti.
Coinvolgere i giovani
Proprio nell’ottica di coinvolgere le nuove generazioni, e prendere in carico le paure, i consigli e i suggerimenti dei più giovani, nel corso della conferenza stampa di presentazione dei dati è stata anche formalmente avviata una collaborazione tra Novartis Italia e Consiglio nazionale dei giovani: “Alla visione negativa delle nuove generazioni rispetto al futuro della salute”, ha detto Maria Cristina Rosana Pisani, presidente del Cng, “deve corrispondere lo sforzo di tutti gli attori del sistema Paese per invertire la rotta. Avvieremo alcuni tavoli di lavoro che coinvolgeranno attivamente giovani medici e ricercatori, rappresentanti dei pazienti e delle istituzioni e manager della sanità per raccogliere il loro punto di vista e le loro esigenze”.