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Oceano Pacifico coast to coast. Purtroppo non parliamo di una regata o di una gara di nuoto senza precedenti, ma di un’enorme massa d’acqua caldissima – molto più della norma – che si estende, per l’appunto, per 8mila chilometri, dalla costa occidentale degli Stati Uniti a quella del Giappone. Neanche a dirlo, la cosa ha a che fare con la crisi climatica e dunque, in ultima analisi, con l’attività antropica: secondo gli esperti della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), la “macchia” di calore potrebbe avere conseguenze pesanti sul clima della terraferma, in particolare in termini di eventi meteorologici estremi, e sul benessere della vita marina del Pacifico. Dal punto di vista della temperatura, si tratta dell’ennesimo record negativo: la differenza di temperatura superficiale del mare rispetto alla media, come fa notare la Cnn, è la più alta mai registrata dalla fine del diciannovesimo secolo. Non bene, insomma.
La macchia di calore nell’oceano
Conseguenze (im)prevedibili per il Pacifico
“Il Pacifico settentrionale – ha detto all’emittente statunitense Michael McPhaden, scienziato della Noaa – si è riscaldato a ritmo più rapido di qualsiasi altro bacino oceanico sulla Terra nell’ultimo decennio”, e l’evento appena registrato è purtroppo unico per intensità, portata geografica e potenziale di alterazione dei modelli meteorologici su larga scala, qualora dovesse persistere. “Se questa ‘macchia’ che interessa l’intero bacino oceanico non dovesse raffreddarsi – ha aggiunto Daniel Swain, climatologo alla University of California, Los Angeles – potrebbero esserci conseguenze pesanti in termini di tempeste invernali associate alle correnti dell’oceano”. Ma non solo: eventi simili che si sono verificati in passato hanno causato una moria di uccelli marini lungo la costa dell’Alaska e hanno colpito diverse specie di pesci, leoni marini e altre creature che vivono in questa regione. “Gli impatti di questo evento – commenta Heather Renner, biologa all’Alaska Maritime National Wildlife Refuge – sono stati osservati su molte specie, e molte di queste non si sono ancora riprese dalle conseguenze delle ondate di calore degli anni scorsi”.