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Su questa storia semplice Anderson innesta tutto quello che ha imparato. C’è una telefonata furiosa che ricorda quella di Ubriaco d’amore, ci sono i sentimenti che premono sugli individui, come spesso nei suoi film, in cui i personaggi resistono pur se le emozioni condizionano le loro scelte, e soprattutto c’è uno stile unico. Anderson da anni sperimenta la doppia colonna sonora, cioè due brani musicali insieme, uno in colonna e uno proveniente dalla scena, che non stonano ma funzionano in armonia o per contrasto. In questo film, in cui quasi tutte le scene hanno un sottofondo musicale, questa cifra stilistica trova il suo compimento: la musica è sempre presente, tranne nei momenti di maggiore tensione, in cui scompare.
Tutto culmina in un finale che è al tempo stesso tipico del cinema commerciale, perché è un grande inseguimento che risolve le trame e mette i protagonisti a duello, e totalmente inedito. Ambientato nel deserto (dove già Anderson faceva sfrecciare Philip Seymour Hoffman in moto in The Master), su una strada solitaria e lunghissima, tra persone che devono trovarsi in uno spazio immenso in cui pare impossibile, con un dispositivo da guerra fredda che suona una melodia dolce quando è vicino al suo dispositivo compagno, e su gobbe di asfalto, con espedienti di regia da Hitchcock che spiazzano e confondono. Contiene il segreto del cinema americano, è completamente nuovo e anche assolutamente familiare, è denuncia la parte più intima di tutta l’impresa. Una battaglia dopo l’altra è il grande romanzo americano dei nostri tempi senza dubbio, racconta l’America in guerra con se stessa da anni, ma è anche un film di un padre che guarda una figlia e la possibilità che una nuova generazione, a metà tra i mondi in guerra ma con le idee chiare, possa non essere vittima ma portatrice di speranza. E questo è un finale a suo modo eccezionale.