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Dopo l’approvazione di agosto, il progetto del ponte sullo Stretto di Messina si trova ora di fronte a un ostacolo procedurale. La Corte dei conti, l’organo della magistratura che vigila sulla legittimità della spesa pubblica, ha chiesto al governo chiarimenti dettagliati sul progetto. I magistrati contabili hanno sollevato dubbi sia sulle procedure ambientali finora seguite sia sull’aumento dei costi dell’opera, che sono passati dai 3,9 miliardi previsti nel contratto originale del 2009 ai 13,5 miliardi di euro stimati oggi. Il progetto era già stato approvato dal Cipess, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, organismo governativo che dà il via libera alle grandi opere pubbliche. Tuttavia, il parere della Corte dei conti è decisivo per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: senza questo passaggio, i cantieri preliminari, previsti entro la fine del 2025 e annunciati dal ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini, non possono partire.
Non sono stati chiariti gli aspetti ambientali
Nel dossier inviato giovedì scorso dai magistrati contabili alla presidenza del Consiglio, il punto più controverso riguarda la gestione delle criticità ambientali. I problemi erano già stati messi in luce durante la Valutazione di incidenza ambientale, o VIncA, la procedura prevista dalla direttiva europea Habitat per valutare l’impatto dei progetti su aree di particolare valore naturalistico. La commissione tecnica aveva infatti dato parere negativo e allegato 62 prescrizioni che segnalavano effetti significativi su tre zone delicate: i monti Peloritani in Sicilia, la costa Viola in Calabria e i fondali marini dello Stretto. Tutti i siti rientrano nella rete europea Natura 2000, pensata per tutelare gli habitat naturali di interesse comunitario, e il parere della commissione avrebbe bloccato l’avvio del progetto.
Per superare l’ostacolo, il Consiglio dei ministri ha attivato lo scorso aprile una procedura speciale chiamata Iropi, ovvero Imperative reasons of overriding public interest. Grazie a questa deroga, un progetto può essere autorizzato anche se presenta criticità ambientali, ma solo se esistono motivi di rilevante interesse pubblico che prevalgono sulle esigenze di tutela dell’ambiente. In questo caso, il ponte sullo Stretto è stato dichiarato un’opera di interesse militare e strategico. La procedura Iropi comporta, però, altri obblighi rigorosi, tra cui la predisposizione di misure compensative per mitigare i danni ambientali, che devono essere approvate dalla Commissione europea prima dell’inizio dei lavori.
I tentativi (goffi) di aggirare la questione
I magistrati contabili hanno rilevato che queste misure compensative non sono ancora state definite in modo chiaro. Per questo hanno chiesto al governo aggiornamenti sui contatti con la Commissione europea, dopo che gruppi attivi sulla tutela dell’ambiente e alcuni parlamentari europei hanno presentato ricorsi e interrogazioni. Non è infatti certo che la Commissione dia il via libera alla deroga. Alcune associazioni hanno sottolineato l’assenza di prove sufficienti dell’interesse strategico-militare del ponte. E il governo lo sa bene, tanto è vero che a settembre l’esecutivo aveva tentato di inserire l’opera nei finanziamenti Nato per la difesa, nell’ambito del piano di riarmo europeo, ma ha fatto marcia indietro dopo le critiche dell’ambasciatore americano Matthew Whitaker, secondo cui non è accettabile includere nei budget militari “ponti che non hanno valore strategico per la difesa”.
L’esplosione dei costi e le dimensioni dell’opera
Un altro elemento critico segnalato dalla Corte dei conti riguarda l’aumento considerevole dei costi del progetto, che secondo i magistrati contabili non risultano adeguatamente giustificati. Il contratto originale, firmato nel 2005 con il consorzio Eurolink – guidato da Webuild, nata dalla fusione di Impregilo e Salini, insieme alla spagnola Sacyr e alla giapponese IHI Corporation – prevedeva un investimento di circa 3,9 miliardi di euro. L’aggiornamento del progetto definitivo presentato nel 2011 aveva portato la stima a circa 7,5 miliardi, fino ad arrivare al costo attuale approvato dal governo, pari a 13,5 miliardi di euro, interamente finanziati con risorse pubbliche già stanziate nelle leggi di bilancio 2024 e 2025.
La Corte dei conti ha quindi voluto capire come mai i costi siano cresciuti in modo così marcato. Tra gli incrementi più significativi ci sono i costi per la sicurezza, passati da 97 a 206 milioni di euro, e le opere compensative ambientali, cresciute senza dettagli tecnici a giustificarle. I magistrati hanno anche rilevato che l’Autorità di regolazione dei trasporti, l’ente indipendente che supervisiona tariffe e concessioni, non è stata coinvolta nella procedura, un passaggio anomalo che solleva dubbi sulla trasparenza nella definizione delle tariffe.
Il governo ha ora venti giorni per rispondere alle osservazioni della Corte dei conti, un termine che scadrà a metà ottobre. Il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha già fatto sapere attraverso una nota che “tutti i chiarimenti e le integrazioni saranno forniti nei tempi previsti“, minimizzando l’accaduto come un normale confronto istituzionale e assicurando che il ponte sullo Stretto di Messina non è in discussione. Fonti vicine al dossier riferiscono che gli uffici competenti stanno lavorando per preparare una risposta articolata che affronti punto per punto le perplessità dei magistrati contabili, ma la vicenda rischia di allungare ulteriormente i tempi di un progetto che ha già subito cinquant’anni di rinvii e cancellazioni.