venerdì, Settembre 26, 2025

Psicosi, una piccola ma decisiva quota ha origine autoimmune ed è trattabile

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Mary ha vissuto vent’anni in psicosi: deliri di persecuzione, ricoveri ripetuti, diagnosi di schizofrenia in età adulta, scarsa risposta agli antipsicotici, come racconta The New Yorker. Nel 2023 arriva un linfoma. La terapia oncologica prevede rituximab, un anticorpo che spegne le cellule B del sistema immunitario. Il tumore entra in remissione, ma anche la psicosi entra in remissione, e ci rimane anche quando gli antipsicotici vengono sospesi. La storia di Mary mette a fuoco un’ipotesi diventata concreta negli ultimi vent’anni: in una minoranza di pazienti psichiatrici, l’origine dei sintomi è immunitaria, e il trattamento va pensato di conseguenza.

Psicosi e malattie autoimmuni

April e gli altri casi

Non è l’unico caso in cui l’origine di una psicosi è nel sistema immunitario, e non nel sistema nervoso. Nel 2023, a New York, una donna chiamata April—catatonica e silenziosa per quasi un quarto di secolo, con diagnosi di schizofrenia—viene studiata da un gruppo multidisciplinare. La batteria di esami individua il lupus, malattia autoimmune, come probabile motore dell’infiammazione cerebrale. Con l’immunoterapia mirata, April riemerge progressivamente: riconosce i familiari, riprende conversazioni, esce dal reparto. In Inghilterra, Lucy, studentessa universitaria e modella, viene inizialmente considerata in “breakdown” e ricoverata in psichiatria; in realtà, ha una encefalite autoimmune. La terapia corretta le restituisce funzioni e prospettive, sebbene con un percorso di riabilitazione impegnativo. Già nel 2012, Susannah Cahalan aveva portato la propria storia di psicosi autoimmune nel mainstream con il (meraviglioso) bestseller Brain on Fire. Cahalan racconta del suo mese di psicosi violenta causata da anticorpi contro un recettore sinaptico, le diagnosi sbagliate, l’immunoterapia, il recupero di una vita normale.

Abbiamo parlato di autoimmunità e psicosi con uno dei massimi esperti in Italia, il Prof. Roberto Furlan, professore associato di Patologia Generale all’Università Vita-Salute San Raffaele e responsabile dell’Unità di Neuroimmunologia clinica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

Storia delle psicosi autoimmuni

Nel 2007, viene descritta per la prima volta l’encefalite da anticorpi anti-NMDA. Alcuni cosiddetti auto-anticorpi, prodotti erroneamente dal corpo, si legano ad un recettore chiave delle sinapsi tra i neuroni, il NMDA, e ne riducono il numero e la funzione. I circuiti che regolano memoria, percezione ed emozione entrano in crisi: compaiono allucinazioni, deliri, movimenti anomali, crisi epilettiche, alterazioni del sonno e dell’umore, fino alla catatonia. Quadro che può sembrare indistinguibile da una psicosi primaria. La differenza, decisiva, è nella causa immunitaria. Dal 2007 ad oggi, sono stati identificati oltre venti auto-anticorpi contro proteine neuronali (tra cui, LGI1, recettori GABA e AMPA, CASPR2). I quadri clinici variano, ma il principio resta: anticorpi diretti contro proteine della superficie neuronale alterano le sinapsi. Nel 2018, una revisione sul New England Journal of Medicine consolida la cornice clinica; nel 2020 un gruppo internazionale propone criteri operativi per parlare di “autoimmune psychosis” quando la presentazione è prevalentemente psichiatrica, senza la classica neurologia eclatante dell’encefalite. La genetica di rischio (per esempio il sistema HLA e il gene C4 del complemento) e segnali infiammatori sistemici suggeriscono che l’immunità dialoga con lo sviluppo e il funzionamento cerebrale anche nelle psicosi classiche, laddove non c’è una causa autoimmune. L’encefalite autoimmune è rara, ma su scala di popolazione significa migliaia di casi ogni anno. Il Prof. Furlan ci spiega che in Italia la casistica è ancora sconosciuta a molti medici di base, che tendono ad indirizzare i pazienti verso la psichiatria: “la sottodiagnosi è oggi un problema enorme”.

La causa organica ormai consolidata di diverse psicosi come l’encefalite autoimmune, dice il Prof. Furlan, “è una spia del fatto che la scissione tra psichiatria e neurologia e la loro assenza di dialogo ha portato ad una serie di errori in clinica”. Oggi diremmo che ovviamente tutte le malattie psichiatriche hanno una causa organica, ma non è sempre stato così. La neuroimmunologia sta delineando le basi organiche di alcune condizioni della psiche, come la depressione, la quale, continua il Prof. Furlan, secondo ricerche recenti, sarebbe un sintomo di diverse malattie, piuttosto che una malattia in sé. Basti pensare, nel piccolo, al desiderio di ritiro sociale che segue una brutta infezione. In questo caso, i meccanismi molecolari immunologici sono ben noti: citochine proinfiammatorie che durano a lungo nel sangue e sono trasportabili nel cervello, dove regolano svariate risposte.

Diagnosi, terapia, e ricerca

La domanda operativa è quando sospettare una psicosi autoimmune. Clinicamente il sospetto cresce con un esordio acuto, oscillazioni marcate dei sintomi, catatonia, intolleranza paradossale agli antipsicotici, crisi epilettiche o movimenti anomali, febbre o disautonomia, un calo cognitivo rapido o stati confusionali. Pesano anche i contesti: presenza di specifici tumori, altre malattie autoimmuni, infezioni recenti. In questi scenari, l’iter non dovrebbe fermarsi alla cartella psichiatrica. Serve una valutazione neurologica, una risonanza magnetica, un EEG, esami del sangue mirati e, quando il sospetto persiste, l’analisi del liquido cerebrospinale (liquor). Alcuni anticorpi, infatti, si rilevano esclusivamente nel liquor, e non nel sangue. Il quadro non è bianco e nero: ci sono falsi negativi e positivi, anticorpi sospetti ma senza ruolo causale comprovato, pazienti senza anticorpi noti che però rispondono a terapie immunitarie. Per questo, i criteri combinano clinica, biomarcatori e andamento della risposta alla cura, e la discussione tra psichiatra, neurologo e immunologo resta centrale.

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