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Copiando la natura e integrandola nei robot è possibile inventarne modelli più performanti e, allo stesso tempo, più sostenibili. Partendo da quelli che provano a rendere il coltivabile Marte, se ne possono immaginare di diverse tipologie, spaziando da semi che si autoseminano a dispositivi che si arrampicano sui rami per rilasciare sostanze curative alla pianta nel punto in cui maggiormente le servono.
I robot bioispirati e alleati della natura sono i protagonisti della quarta puntata del podcast di Wired Un giorno mangeremo robot, realizzato in collaborazione con l’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) e supportato dal progetto europeo EDISENS. A raccontarne le applicazioni presenti e future è Isabella Fiorello, coordinatrice del gruppo Biohybrid Machines presso il Cluster of Excellence Living, Adaptive and Energy-autonomous Materials Systems (livMatS) dell’Università di Friburgo.
L’arte di seminare su Marte richiede sciami di robot realizzati lasciandosi ispirare da alcuni meccanismi studiati in natura, perché una volta atterrati sul nostro pianeta gemello siano in grado di modificare la composizione del suolo su altri pianeti. Si chiama terraforming, è una prospettiva affascinante e non del tutto utopistica, ma non è l’unica a cui guardano Fiorello e il suo team.
In questa puntata, infatti, la ricercatrice racconta le numerose possibili applicazioni che i robot bioispirati possono avere, anche restando sul suolo terrestre. Sono molto utili anche sul nostro pianeta, per esempio, i semi robotici che sanno muoversi ed infilarsi nelle crepe di un terreno più ostile di altri da coltivare, scegliendo in totale autonomia il luogo con maggiori possibilità di svilupparsi in pianta. Lo stesso vale per i micro uncini fatti con zucchero estratto dalla barbabietola che sono in grado di arrampicarsi su una pianta per degradarsi rilasciando il farmaco che vogliamo somministrarle, senza lasciar che si disperdano rifiuti elettronici nell’ambiente.
Progettare e realizzare tutti questi dispositivi ispirati alla natura, copiando piante e animali, non è affatto banale. La stessa Fiorello spiega infatti che “la sfida più grande è tradurre i principi osservati nella natura in robot che nel mondo reale essi abbiano poi una funzione davvero utile. Il passaggio più difficile è il trasferire i risultati ottenuti in laboratorio a livello industriale, in modo che possano portare beneficio alle persone o ad alcuni settori economici e produttivi”.
Ai microfoni di Un giorno mangeremo robot ci sono Valerio Annese, ricercatore, e Marta Abbà, giornalista scientifica, con il coordinamento editoriale di Luca Zorloni. In regia Daniele Anniverno e Riccardo Indelli, il montaggio è di Giulia Rocco. Il podcast è stato realizzato con il supporto di Edisens (grant agreement n. 101105418), un progetto di ricerca finanziato dallo schema Marie Skłodowska-Curie Actions, nell’ambito del programma Horizon Europe dell’Unione Europea.