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La notizia del ritiro del sessantasettenne Bruce Willis, una tra le star più amate di Hollywood, per afasia ha portato immediatamente alla ribalta l’esistenza di questo disturbo cognitivo che colpisce la capacità di comunicare.
«In conseguenza di ciò e dopo un’attenta considerazione della situazione, Bruce è costretto ad allontanarsi da un mondo che ha significato veramente tanto per lui», ha scritto Rumer Willis, figlia dell’attore, in un post su Instagram firmato anche dai suoi fratelli, dalla moglie Emma e dalla ex moglie, Demi Moore.
Secondo coloro che hanno lavorato accanto a Willis nei suoi ultimi film, l’attore ha mostrato segni di progressivo declino. Eppure, la notizia è arrivata come un lampo a cielo sereno e sconvolge pensare che solo in Italia il numero di persone afasiche in seguito a ictus, traumi o altre malattie che colpiscono il cervello supera le duecentomila unità.
Per capire meglio di cosa si tratta ho chiamato un neurologo della Northwestern University di Chicago, Daniela Menichella, mia sorella. L’avevamo già interpellata in occasione dell’interesse suscitato dal personaggio di Joker dell’omonimo film di Todd Phillips interpretato da Joaquin Phoenix che soffriva di incontrollati attacchi di riso.
«In quel caso si trattava di un personaggio di fantasia affetto da un problema neurologico che gli rendeva difficile la relazione con gli altri. Oggi, invece, mi chiami per una persona reale che non ho nemmeno in cura», obbietta il medico specialista. «Però ci sono alcune cose necessarie da sapere che riguardano tutti noi e possono essere d’aiuto ai pazienti, alle famiglie e agli amici che non devono essere lasciati soli. Il primo passo per non abbandonarli è conoscere e comprendere».
Cos’è l’afasia?
«L’afasia è un disturbo del linguaggio che ostacola la nostra capacità di comunicare ed entrare in relazione con gli altri. È spesso causata da un ictus o da un trauma cranico e può impedirci di parlare, scrivere o capire le parole. In termini medici si parla di afasia primaria progressiva (PPA) ed è una forma di alterazione cognitiva che comporta una perdita progressiva della funzione del linguaggio. È causata da una degenerazione delle aeree del cervello che sono responsabili della parola e del linguaggio. All’inizio diventa difficile usare parole comuni mentre si parla o si scrive e anche la capacità di capire ciò che gli altri dicono o ciò che viene letto diminuisce. Nelle prime fasi, la memoria, il ragionamento e la percezione visiva non sono colpiti dalla malattia ed è possibile continuare a svolgere normalmente molte attività di routine quotidiana. Purtroppo la malattia progredisce e le abilità mentali diminuiscono. Gli adulti di qualsiasi età possono sviluppare la PPA, ma è più comune nelle persone sotto i 65 anni e ognuno ha dei livelli di afasia diversi».
Quali sono i sintomi dell’afasia?
«Come dicevo, si tratta perlopiù di sintomi linguistici che all’inizio tendiamo a scambiare per manifestazioni di stress e ansia. Te ne posso elencare un po’, ma attenzione a non prenderli alla lettera perché il quadro clinico è più complesso. Certamente se si presentano tutti insieme potrebbe esserci un problema.
Parto dalla sostituzione di parole, ad esempio ‘scarpe’ con ‘calze’. Però, come vedi capita spesso a tutti. Oppure alterare la posizione delle parole in un messaggio o in un discorso: ‘le seguente scrivo la mail’, invece di ‘le scrivo la seguente mail’. Dimenticare i nomi di oggetti familiari, imbarcarsi in un ragionamento complesso per avere dimenticato il nome di una parola: ‘sono stato nel luogo dove la gente si riunisce in silenzio a leggere libri presi in prestito’, invece di dire biblioteca. Usare parole incomprensibili per indicare qualcosa: ‘gelato’ per ‘mascherina’. Poi ci sono sintomi più gravi: difficoltà a capire o seguire una semplice conversazione, incapacità di pensare ai nomi delle persone, anche se conosciamo chi abbiamo davanti, problemi a scrivere, leggere e a fare i calcoli più elementari come quelli per un resto o una mancia».
Da cosa è causata l’afasia?
«È definita come una malattia degenerativa perché causa la morte progressiva delle cellule nervose in seguito a un trauma cranico, un’infezione, un ictus, un cancro o l’Alzheimer».