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Un modo per convincerla a esprimere i suoi tre desideri: se non lo farà il genio sarà condannato a svanire per sempre.
Il film è stato girato in Australia durante la pandemia. Elba e Swinton, in lockdown per due settimane, hanno raccontato di aver fatto le prove su zoom anche per nove ore al giorno, “ma i nostri appartamenti erano così vicini che dai rispettivi balconi ogni tanto potevamo vederci e persino passarci un bicchiere di vino”, ha raccontato la Swinton.
Eccetto che per l’uso massiccio e convincente degli effetti speciali, Three Thousand Years of Longing è un film profondamente diverso dal precedente diretto da George Miller, Mad Max: Fury Road, che uscì nel 2015 (proprio così, fra i due, sono passati sette anni).
“Fury Road era girato per lo più in esterno, nel deserto della Namibia, con migliaia di comparse. Questo si svolge quasi completamente in interni: abbiamo filmato in studio con un totale di 350 persone. Nel primo i dialoghi erano ridotti, qui la narrazione, e lo scambio fra Alithea e il genio sono il cuore della storia”, ammette Miller.
Eppure l’idea di basare un film sul libro della scrittrice A. S. Byatt, The Djinn in the Nightingale’s Eye: five fairy stories, risale a oltre una ventina di anni fa. A conquistare George Miller, il fatto che “si tratta di un’investigazione sui misteri e i paradossi della vita. Ci sono storie, come questa, che mi rimangono dentro e quando succede, prima o poi, devo farne un film”.
Un’altra caratteristica che conquistò il regista è l’impossibilità di racchiudere The Djinn in the Nightingale’s Eye in un unico genere. Trasversalità che ha trasferito nella versione cinematografica.
Three Thousand Years of Longing è un film in costume e contemporaneo, un fantasy e una love story. Una film che parla di sentimenti umani universali e senza tempo – l’amore, la passione, la lealtà e il tradimento, così come lo stesso bisogno di raccontare e di ascoltare storie – ma anche di un presente in cui la sopravvivenza dell’irrazionale è messa a dura prova. Alithea a un certo punto dice: “I miti rappresentano la conoscenza nelle epoche passate, quello che è la scienza per noi”. E aggiunge: “Almeno fino a oggi”.
Benché si tratti di una storia molto diversa, Three Thousand Years of Longing germoglia dallo stesso tipo di substrato che ha ispirato il romanzo – poi diventato serie tv – American Gods di Neil Gaiman.
Non siate così certi di aver ucciso le divinità del passato. Potrebbero essere ancora fra di noi.