giovedì, Luglio 3, 2025

Dopo il primo caso di suicidio assistito, cosa succede ora in Italia?

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Federico, il giorno prima di autosomministrarsi il farmaco, ha ringraziato Gallo e l’Associazione per averlo protetto e aiutato in questi due anni (Mario Riccio è il medico che ha monitorato la procedura, nel collegio legale anche Massimo Clara e Giordano Gagliardini). Questi due anni che sono stati lunghissimi. Ha scelto di farsi chiamare “Mario” perché se fosse venuto fuori il suo nome non avrebbe sopportato la pressione, le domande e i commenti. E non li avrebbe sopportati per la madre. I commenti che sono i soliti di chi non riesce a stare zitto, e allora consiglia, blatera che sarebbe meglio scegliere le cure palliative, suggerisce che sarebbe il caso di ricorrere alle cure psichiatriche altro che al suicidio assistito. Tutto senza nemmeno conoscere la persona di cui sono certi di sapere qual è il bene. Era successo con Piergiorgio Welby, è successo con Mario/Federico, succederà sempre.

Il tempo per chi aspetta è diverso, è lunghissimo, non è come quello di chi si alza, va a passeggio, si fa un caffè senza nemmeno pensarci. Il tempo per chi aspetta è diverso, e figuriamoci quanto sono lunghi due anni. Perché sono passati due anni da quando Federico ha scritto a Marco Cappato. Voleva andare in Svizzera. “Ma lo sai che è possibile anche in Italia?”, gli ha detto Cappato. È possibile da quando la Corte ha dichiarato legittimo l’aiuto al suicidio. Possibile, ma non facile. Quasi impossibile.

Quando finalmente il 9 febbraio 2022 arrivano le indicazioni sulle modalità e sul farmaco, c’è un altro intoppo: lo Stato non paga per quello che serve. Forse l’unica cosa per cui servirebbe una legge sul suicidio assistito, cioè facilitare le procedure. Ma per quello basterebbe anche la volontà istituzionale. Se il ministro della Salute Roberto Speranza volesse davvero evitare “l’ostruzionismo” ne avrebbe i poteri e la facoltà. Il segretario del Pd Enrico Letta che si vergognerebbe “se questa legislatura si concludesse senza la legge sul suicidio assistito che anche la Consulta ci ha chiesto. Sarebbe una vergogna per l’Italia”. La legge in discussione, tuttavia, rischia di non portare i benefici sperati.

Gli ultimi giorni di Federico sono stati faticosissimi. Non ce la faceva a stare seduto più di un’ora. “Il mio corpo non ce la fa più. Ho vissuto bene, mi mancheranno anche questi anni dopo l’incidente ma adesso non ce la faccio più. Vado via col sorriso. E domani durante la conferenza stampa cercate di non piangere”, ha detto Federico a Filomena Gallo due giorni fa.

Poi ha anche domandato perché se uno fa tutto a norma di legge lo Stato non gli risponde e lo ignora. E cosa succederà dopo, cioè se questi due anni – con le diffide e la richiesta di rispettare un diritto – serviranno anche a qualcun altro. Alla prima domanda è difficile e imbarazzante rispondere. Alla seconda invece è facile: servirà moltissimo, servirà a chi lo vorrà, servirà e mentre Federico chiedeva in tutti i modi che il suo diritto fosse rispettato, troppi facevano finta di non avere il dovere di rispondergli. Federico è morto perché voleva così. Ha scelto, come aveva scelto di non rivelare la sua identità prima della sua morte. La questione è poi forse quasi tutta qui: se possiamo scegliere oppure no.

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