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Gli algoritmi che alimentano le valutazioni dei danni di Skai sono addestrati etichettando manualmente le immagini satellitari di centinaia di edifici di un’area colpita da un disastro. Il software è quindi in grado di individuare rapidamente gli edifici che sono stati compromessi in tutta la zona. Un documento di ricerca sulla tecnologia alla base di questo processo, presentato in occasione di un workshop accademico del 2020 dedicato all’uso delle intelligenze artificiali in relazione alle catastrofi, afferma che le valutazioni dei danni generate automaticamente corrispondono a quelle degli esperti umani, con un’accuratezza compresa tra l’85 e il 98 per cento.
Dopodiché, GiveDirectly ha quindi offerto settecento dollari attraverso una notifica push a tutti gli utenti dell’app Providers che risiedevano in Florida e avevano un indirizzo registrato nelle contee di Collier, Charlotte e Lee, le zone in cui secondo il sistema di intelligenza artificiale di Google si concentrava più del 50 per cento di edifici danneggiati. Finora, novecento persone hanno accettato il denaro, la metà delle quali ha già ricevuto l’aiuto. Se tutti i beneficiari aderiranno all’offerta di GiveDirectly, l’organizzazione erogherà 2,4 milioni di dollari in aiuti finanziari diretti.
Scetticismo e criticità
C’è chi potrebbe essere scettico nei confronti di una gestione automatizzata dei disastri. Tuttavia, nel caos che segue un evento come un uragano, la convenzionale risposta umana può rivelarsi tutt’altro che perfetta. Diaz fa riferimento a un’analisi condotta da GiveDirectly sul lavoro svolto dopo l’uragano Harvey, che ha colpito il Texas e la Louisiana nel 2017, prima dell’inizio della collaborazione con Google. Due delle tre aree più danneggiate, anche economicamente, erano state inizialmente trascurate. Un sistema basato sui dati è “molto meglio di quello che otterremo con la presenza sul campo e il passaparola“, sottolinea Diaz.
L’approccio basato sugli algoritmi per la distribuzione degli aiuti di GiveDirectly e di Google è stato accolto con favore da alcuni esperti che si occupano di assistenza in caso di calamità, ma con qualche riserva. Secondo Reem Talhouk, ricercatrice presso la School of design and centre for international development della Northumbria University, nel Regno Unito, il sistema sembra rappresentare un modo più efficiente per distribuire gli aiuti. Inoltre, protegge la dignità dei beneficiari, che non devono fare la fila in pubblico per ottenere i sussidi. Tuttavia, Talhouk avverte che automatizzando il sistema in misura così ampia il rischio è quello di lasciarsi sfuggire le vittime che potrebbero avere più bisogno di aiuto. “Erogare gli aiuti attraverso le tecnologie è più efficiente – spiega –. Ma si perde è il legame umano che gli operatori umanitari sviluppano con le comunità colpite“.