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Il governo di Israele ha approvato la creazione di 22 nuove colonie in Cisgiordania, segnando la più vasta espansione degli insediamenti degli ultimi decenni. La decisione, presa durante una riunione del gabinetto di sicurezza la scorsa settimana e annunciata giovedì 29 maggio dal ministero della Difesa, è stata promossa dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e dal ministro della Difesa Israel Katz, entrambi sostenitori di un controllo più profondo dello Stato ebraico sul territorio che Israele occupa militarmente dal 1967, dopo averlo conquistato nella Guerra dei sei giorni. Il piano prevede tanto la legalizzazione di nove “avamposti” – insediamenti costruiti senza autorizzazione governativa – quanto la costruzione di colonie completamente nuove, alcune delle quali sorgeranno in località da cui Israele si era ritirato nel 2005, quando decise di abbandonare contemporaneamente tutti gli insediamenti nella Striscia di Gaza e quattro colonie nel nord della Cisgiordania.
Israele in Cisgiordania, l’architettura dell’espansione
L’operazione rappresenta un cambio di paradigma nella strategia insediativa di Israele, al punto che lo stesso Smotrich – che oltre a essere ministro delle Finanze ricopre anche il ruolo di ministro aggiunto alla Difesa, una posizione che gli conferisce autorità diretta sui territori occupati – l’ha definita un passo fondamentale verso quella che ha chiamato “sovranità de facto“ sulla Cisgiordania, ovvero un controllo israeliano permanente senza formale annessione. Tra le nuove colonie previste figurano anche Homesh e Sa-Nur, due insediamenti precedentemente smantellati, la cui ricostituzione è stata possibile grazie all’eliminazione di restrizioni che per anni avevano vietato ai cittadini israeliani l’accesso a quelle zone. L’iniziativa si accompagna alla progressiva regolarizzazione di decine di avamposti già esistenti, secondo una prassi consolidata dell’occupazione israeliana: insediamenti creati spontaneamente da gruppi di coloni su terreni palestinesi, inizialmente privi di riconoscimento ufficiale ma tollerati dalle autorità, che garantivano protezione militare, infrastrutture e servizi. Il loro riconoscimento formale permetterà ora l’assegnazione diretta di fondi statali e la nascita di amministrazioni municipali autonome, agevolandone l’espansione urbanistica e demografica.
Le 22 nuove colonie si inseriranno in una rete insediativa già esistente, composta da circa 150 insediamenti edificati in Cisgiordania dal 1967 a oggi, portando il totale oltre quota 170. La loro distribuzione geografica risponde a un disegno strategico preciso: molte sorgeranno lungo il fiume Giordano e ai margini orientali della Cisgiordania, in prossimità del confine con la Giordania, con l’obiettivo di consolidare il controllo militare e territoriale israeliano sulla regione. Ma l’intento non è soltanto geopolitico. Una delle nuove colonie è prevista sul Monte Ebal, nei pressi di Nablus, in un’area che i coloni identificano come l’altare del personaggio biblico Giosuè.
Il contesto politico e le reazioni internazionali
L’accelerazione dell’attività insediativa si inserisce in un contesto che molti analisti descrivono come una fase di rafforzamento per la destra israeliana, favorita dalla convergenza di due fattori: da un lato, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, tradizionalmente più accomodante verso la politica degli insediamenti rispetto alle amministrazioni democratiche; dall’altro, lo spostamento dell’attenzione internazionale sulla crisi umanitaria nella Striscia di Gaza dopo il 7 ottobre, che ha relegato in secondo piano la questione cisgiordana. In questo scenario, Bezalel Smotrich – leader del partito Sionismo Religioso e figura centrale della destra radicale – ha sfruttato la congiuntura favorevole per avanzare una strategia sistematica di espansione.
I dati degli ultimi anni confermano un’accelerazione notevole. Secondo l’organizzazione israeliana Peace now, che monitora l’attività coloniale sulla base di dati ufficiali, nel 2022 sono state approvate 4.427 nuove unità abitative nei territori occupati. Nel 2023 il numero è quasi triplicato, raggiungendo quota 12.349. Dopo una leggera flessione nel 2024 (9.971 unità), i primi tre mesi del 2025 hanno già visto l’approvazione di 14.335 unità, un ritmo che, se mantenuto, supererebbe ogni record storico. A rafforzare questo processo, nel gennaio 2025 la Knesset (il parlamento israeliano) ha approvato in prima lettura una legge che abrogherebbe le restrizioni all’acquisto di terreni da parte di cittadini israeliani, risalenti al periodo di amministrazione giordana (1948–1967), consentendo transazioni dirette senza passare per società intermediarie.
Nel frattempo, almeno una reazione è arrivata dall’Europa: l’Irlanda ha annunciato una proposta di legge per vietare l’importazione di prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani nei territori occupati. Se approvata, sarebbe il primo provvedimento commerciale di questo tipo adottato da uno stato membro dell’Unione europea.