martedì, Giugno 17, 2025

La Divina Commedia e l'horror, il filo spaventoso che unisce Dante e Stephen King

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A partire dagli Eretici e dalla tremenda visione di Farinata degli Uberti, il superbo ghibellino che giace nel suo sepolcro infuocato e che apostrofa Dante dalla tomba facendolo trasalire. La figura si erge “dalla cintola in su”, solenne in un cimitero dove tutti i coperchi sono sollevati. Un paesaggio spettrale per una figura spettrale: una corrispondenza che torna anche nel bosco dove i suicidi scontano la loro pena. Una selva inquietante: “non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti”. Dante sentiva urla e pianti senza vedere nessuno.

L’angoscia aumenta e giunge al culmine quando il poeta capisce che all’interno dei tronchi ci sono le anime dei dannati: le arpie spogliano e rompono continuamente i rami contorti, torturando le anime tra cui quella di Pier delle Vigne. E dal suo legno scheggiato escono insieme “parole e sangue”. Ancora buio e ancora orrore nella quinta bolgia dell’VIII cerchio, nel cui fondo ribolle nera la pece in cui sono immersi i dannati, e chi cerca di fuggire viene dilaniato dagli artigli dei diavoli. Se questa pena non sembra abbastanza spaventosa non resta che guardare i seminatori di discordie, mutilati a colpi di spada dai loro demoniaci carcerieri: tra i dannati Bertram dal Bornio, che il poeta vede avanzare come “un busto senza capo” che “il capo tronco tenea per le chiome”. E per parlare l’apparizione solleva la propria testa mozzata come fosse una lanterna.

E poi il Conte Ugolino, forse il personaggio che rimane più emblematico della vena horror dantesca. Basta citare i primi versi con cui il Conte viene presentato per evocare un senso di angoscia e disgusto: “La bocca sollevò dal fiero pasto / quel peccator, forbendola a’capelli / del capo ch’elli avea di retro guasto”.  Il dannato rode la nuca di un altro dannato, e prima di parlare si pulisce la bocca sui capelli della stessa testa che costituisce il suo orrido pasto. Il racconto di Ugolino è uno spaccato di orrori, dal carcere alla fame, alla morte dei figli fino alla cecità e alla propria morte. Siamo nel girone dei traditori che, immersi nel ghiaccio, rivolgono il viso verso l’alto così che le lacrime si congelino nelle orbite dei loro occhi. È la parte più profonda dell’inferno, dove sono puniti i peggiori tra i peccatori, coloro che hanno infranto la fiducia in loro riposta. E peggio di tutti i traditori per antonomasia, Giuda e, ancora più giù, Lucifero. E l’angelo precipitato in fondo agli inferi, il traditore di Dio, mastica la testa e il corpo del traditore di Gesù, che ha fuori dalla bocca la schiena e le gambe. Intorno, il gelo.

L’inferno fra Stephen King e Il Trono di Spade

Il ghiaccio disegna una landa desolata dove ogni orrore è possibile ed è cristallizzato per sempre in un paesaggio perfettamente immobile. È una novità letteraria che troverà fortuna nei secoli successivi, basta ricordare il finale di Frankenstein di Mary Shelley o in epoca molto più recente le immagini di Trono di Spade, dove si possono leggere rimandi danteschi anche nella densa oscurità punteggiata dalla luce dei fuochi. Del resto il Romanticismo amava l’Inferno di Dante e il romanzo gotico ha attinto a piene mani a un immaginario di cui la selva oscura è archetipo. Non basta: il sangue che scorre abbondante nei gironi è orrore per eccellenza, presente in tutta la narrativa di genere, da Dracula di Bram Stoker, che molto amava Dante, fino ai film in cui la paura diventa splatter. E poi i morti viventi, e quei “terrori senza nome” che nelle opere di Stephen King ripropongono lo sgomento di Dante quando si trova incapace di decifrare e affrontare le apparizioni demoniache. Per il Re del brivido è il male che fa paura: fiamme e ghiaccio sono due facce dello stesso incubo. Il gelo che chiude Shining dopo che si sono scatenati i demoni dell’Overlook Hotel è contrappasso alle tante situazioni in cui è il fuoco a divorare il male e i malvagi. E le figure dei dannati ritornano in tanta iconografia contemporanea: non è difficile vedere nel Conte Ugolino un precursore di Hannibal Lecter, o individuare quel filone nell’arte che lega le illustrazioni di Gustave Dorè ai dipinti di Goya, mantenendo come radice lo strazio dei dannati. E per Dante il male è proprio nei dannati: sono questi, i peccatori che, secondo la mentalità medievale, sono i veri demoni, non i diavoli: niente possessioni stile L’Esorcista. I diavoli della Divina Commedia, per quanto ributtanti, fanno il loro mestiere.

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