mercoledì, Giugno 18, 2025

È guerra cyber tra Israele e Iran, si apre un secondo fronte del conflitto

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C’è in corso anche una guerra cyber tra Israele e Iran, oltre la superficie della guerra fatta di bombardamenti e incursioni aeree. L’operazione “Rising Lion” lanciata da Israele il 13 giugno 2025 e arrivata ormai al sesto giorno, ha provocato anche la più ampia controffensiva digitale mai registrata da parte di Teheran. La società americana di cybersicurezza Radware ha pubblicato un report proprio il 13 giugno, prevedendo l’intensificazione delle operazioni cyber iraniane.

I successivi monitoraggi hanno confermato le previsioni degli esiti della guerra cyber tra Israele e Iran. Secondo Radware, citata dal The Jerusalem Post, gli attacchi cyber contro Israele hanno registrato un’impennata del 700% nei giorni successivi all’attacco. Gli informatici al soldo dell’Iran hanno preso di mira infrastrutture critiche, reti governative e sistemi di comunicazione. In risposta, gruppi filo-israeliani hanno colpito banche, portali istituzionali e installazioni strategiche in territorio iraniano.

L’offensiva cyber iraniana

Poche ore dopo i raid israeliani del 13 giugno, i canali Telegram iraniani sono entrati in fibrillazione. Il report di Radware ha documentato come #OpIsrael, un collettivo di hacker filo-iraniani, abbia immediatamente rivendicato un’attacco al sistema di allerta Tzofar, l’infrastruttura cruciale che avvisa i civili israeliani dell’arrivo dei missili. L’operazione è avvenuta proprio mentre l’Iran lanciava la controffensiva missilistica ed il sistema ha presentato dei malfunzionamenti che hanno ritardato gli avvisi a milioni di israeliani. Nel frattempo, Mysterious Team Bangladesh, un altro gruppo hacktivisti che opera per conto dell’Iran, minacciava cyberattacchi contro Giordania e Arabia Saudita se avessero concesso i loro spazi aerei a Israele, mentre Arabian Ghost, specializzato in attacchi contro media e comunicazioni, rivendicava la compromissione di diverse stazioni radio israeliane.

Le unità specializzate iraniane hanno risposto con operazioni ben più sofisticate. Secondo analisti citati da Axios, APT34 (dove Apt sta per advanced persistent threat) un’unità cyber dell’intelligence iraniana soprannominata OilRig, ha sferrato attacchi mirati contro le infrastrutture energetiche israeliane utilizzando malware sviluppato appositamente per penetrare i sistemi di controllo delle centrali elettriche. Parallelamente, APT35 (“Charming Kitten”), un altro gruppo di elite controllato dai servizi segreti di Teheran, ha orchestrato sofisticate campagne di phishing contro funzionari governativi israeliani, creando email false che sembravano provenire da agenzie di intelligence alleate. Gli attacchi quotidiani sono schizzati da una media di 50 prima del 13 giugno a oltre 350 nella settimana successiva.

Altro fronte è la guerra dell’informazione sui social media che ha raggiunto livelli inediti di manipolazione. Migliaia di account automatizzati (bot) hanno iniziato a bombardare le piattaforme digitali con notizie inventate sui danni dei bombardamenti israeliani, amplificando immagini di distruzione e diffondendo la falsa notizia che l’Iran avesse risposto con armi nucleari. Intelligence occidentali documentano come le botnet iraniane abbiano generato oltre 2 milioni di post coordinati su X, Telegram e TikTok nei primi tre giorni dell’operazione Rising Lion. L’obiettivo di questa tattica è duplice: seminare il panico tra la popolazione israeliana e mobilitare l’opinione pubblica internazionale contro Tel Aviv, utilizzando hashtag come #IsraelWarCrimes che sono diventati trending topic globali.

La difesa cyber israeliana

La risposta digitale di Tel Aviv non si è fatta attendere. Il 16 giugno, appena tre giorni dopo l’inizio dell’escalation, collettivi di hacker filo-israeliani (che spesso operano senza rivelare le proprie identità) hanno messo nel mirino la Bank Sepah, una delle principali banche iraniane con oltre 3mila filiali distribuite nel paese. L’operazione ha paralizzato completamente l’istituto per 48 ore consecutive, bloccando prelievi, bonifici e pagamenti elettronici per milioni di iraniani. Gli hacker hanno rivendicato la “cancellazione totale dei database“, sebbene l’effettiva portata dei danni rimanga ancora da verificare. Nelle stesse ore, altri gruppi hanno compromesso i sistemi informatici di almeno tre raffinerie petrolifere iraniane, causando rallentamenti produttivi senza però danni fisici alle strutture.

Al momento sembra che le difese israeliane abbiano retto l’urto dell’ondata iraniana di cyber warfare con risultati che sorprendono persino gli addetti ai lavori. Secondo The Jerusalem Post, i sistemi di protezione dello stato ebraico sono riusciti a respingere oltre l’85% dei tentativi di intrusione lanciati da Teheran nei primi giorni dell’escalation. Le infrastrutture più sensibili – centrali elettriche, impianti di desalinizzazione e sistemi di controllo del traffico aereo – hanno continuato a funzionare senza interruzioni significative nonostante l’intensità del bombardamento digitale. Questo successo difensivo affonda le radici negli investimenti pluriennali in cybersecurity avanzata e nella collaborazione virtuosa tra pubblico e privato che caratterizza l’ecosistema tecnologico israeliano.

Aziende private come Check Point e CyberArk, fondate da ex membri dell’Unità 8200 (l’elite cyber militare dell’intelligence israeliana), sviluppano continuamente nuove protezioni che vengono subito testate dalle forze armate, creando un ciclo virtuoso di innovazione difensiva. Gli analisti avvertono però che siamo ancora all’alba di questa cyber-guerra e che entrambe le parti potrebbero alzare ulteriormente la posta nelle prossime settimane, con il rischio che gli attacchi si estendano anche ad alleati e partner regionali dei due contendenti.

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