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I lirici Greci, Leopardi, Garcia Lorca: la luna, immobile nel cielo, è un tema ricorrente nella poesia. E per Pier Paolo Pasolini è specchio immobile del mutare continuo della vita.
«Mi ritrovo in questa stanza
col volto di ragazzo, e adolescente,
e ora uomo. Ma intorno a me non muta
il silenzio e il biancore sopra i muri
e l’acque; annotta da millenni
un medesimo mondo. Ma è mutato
il cuore; e dopo poche notti è stinta
tutta quella luce che dal cielo
riarde la campagna, e mille lune
non son bastate a illudermi di un tempo
che veramente fosse mio. Un breve arco
segna in cielo la luna. Volgo il capo
e la vedo discesa, e ferma, come
inesistente nella stanca luce.
E così la rispecchia la campagna
scura e serena. Credo tutto esausto
di quel perfetto inganno: ed ecco pare
farsi nuova la luna, e – all’improvviso –
cantare quieti i grilli il canto antico».
Il testo assegnato all’esame di Maturità è una poesia senza titolo, un’opera giovanile in cui il poeta già lascia percepire la sua nostalgia per l’infanzia, per un’innocenza e una serenità perse e mai più ritrovate. E intanto si delineano quella concretezza e quel contatto con una realtà tragica che sono parte fondante della sua poetica. La stanza, il silenzio, la notte segnano lo sfondo del mutare di un volto che si trasforma da quello di bambino a quello di uomo: la riflessione sul proprio percorso di vita, se pur ancora breve, porta a contrapporre il divenire di una persona all’immobilità della natura. La natura non cambia, ma cambia il cuore, l’anima di chi la contempla, mentre l’illusione di poter afferrare il tempo, possederlo e in qualche modo comprenderlo, si dissolve come si dissolve la luce della luna in mille e mille tramonti. Il suo arco è breve, ma il suo moto è perenne, e la sua stanchezza in un ultimo lume che scende e sparisce è la stanchezza di ogni uomo, che la fa apparire ferma. Sotto la campagna, altro rimpianto lontano, è scura, esausta, spenta nella consapevolezza dell’inganno. Ma il tempo continua a fluire, e la luna non è mai realmente ferma: riappare sempre nuova, e la campagna celebra una nuova serenità con il cantare dei grilli. Un suono quieto, rilassante, che dà serenità, ma che sorge improvviso e inaspettato, come ogni suono o movimento che rompe l’immobilità e il silenzio della natura. La solennità della luna sembra contrapporsi, alta, al piccolo coro degli insetti sulla terra, così come si contrappone al canto di ogni poeta. Agli occhi di un giovane tutto appare come un quadro idillico, ma la delusione è sempre dietro l’angolo. Il tema del tempo ritorna in diversi brani della produzione di Pasolini, ma forse mai con questa innocente malinconia.
Il collegamento con altri autori sul tema del tempo
Facile e immediato è il paragone con Leopardi: con quel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia in cui la voce del pastore, nella sua semplicità, riflette i tormenti di una umanità sempre in movimento, sotto l’occhio immobile della luna.
Del resto il volgere del tempo è, insieme alla luna che ne rappresenta la personificazione, presenza nell’immaginario poetico di ogni epoca. Basti pensare alla tristezza di Saffo che secoli fa scriveva «Tramontata è la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte
anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola».
O ancora guardare a quel Carpe diem che Orazio ha reso immortale o a quella madeleine raccontata da Proust. E se Leopardi ha fatto della Luna un vero e proprio interlocutore, Pascoli si interroga sulla sua assenza in una notte presaga di morte. Il tempo non perdona, quello che c’era non ci sarà più, e mentre «il cielo notava in un’alba di perla» le cavallette sembravano suonare sistri d’argento «(tintinni a invisibili porte che forse non s’aprono più?… ); e c’era quel pianto di morte…».