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Sono pochissimi i film europei che parlano dell’Europa, dei suoi problemi, delle sue peculiarietà e del continente come un luogo unico, diviso in diverse nazioni ma accomunato da qualcosa. Il cinema pan-europeo, in teoria buono per ogni paese dell’Unione, di fatto non esiste per quanto ogni tanto escano operazioni come Un re allo sbando.
A partire dalla nazione che è il cuore dell’Unione, o come si dice nel film “il bottone che tiene unita la camicia europea” e mettendo dalla parte opposta della barricata, nel ruolo della minaccia che insegue i turchi, la nazione pronta ad entrare nell’unione ma non accettata proprio da tutti, questo film di produzione olandese, belga e bulgara, sembra perdere ogni buona occasione per mettere in commedia lo stato dell’Europa.
La storia ha uno spunto fortissimo. Il re del Belgio Nicola III (fittizio in tutto e per tutto) è in viaggio diplomatico in Turchia, proprio per accogliere il paese nell’Unione. Preso da impegni istituzionali e seguito passo passo da un documentarista che deve girare un piccolo film su di lui che ne metta in risalto l’umanità, riceve la notizia che la Vallonia si è separata dal Belgio.
Deve rientrare ma una tempesta elettromagnetica rende impossibili i voli, in più i turchi non vogliono far vedere che il re del Belgio li ha dovuti abbandonare con difficoltà e lo vogliono lì con loro fino a che non si è risolto il problema aereo.
In un impeto di personalità, da che è sempre stato una figura incolore, Nicola III decide di partire lo stesso con l’ufficio stampa, il valletto e il suo attendente a seguirlo.
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Il documentarista intuisce che qui sta il film vero e si offre di aiutarli per riprenderli.
Tutta questa forza si esaurisce quasi subito quando parte il viaggio, che invece dovrebbe essere la parte dinamica, e questo perché Un re allo sbando non ha una coerenza interna. I diversi episodi non sono uniti da una vera parabola dei personaggi, sono momenti episodici utili più a creare un senso del “vagare” e del perdersi che a portare ognuno da qualche parte. Sempre inseguiti in maniera assurda (prendono stradine, sbagliano direzioni, finiscono in paesini minuscoli eppure vengono continuamente trovati non si sa come) il gruppo reale in viaggio disperato perde subito le proprie caratteristiche fondanti, cioè essere qualcuno abituato a standard elevatissimi che invece è costretto ad un viaggio di fortuna, autostop e ogni disperazione. In pochi minuti diventano viaggiatori come altri.
Come un Benvenuti al Sud qualsiasi il film racconta di un viaggio in macchina attraverso i Balcani sottolineando da subito il contrasto tra il nord dell’Europa, la sua parte più istituzionale ed ingessata, e quella più rude e dura, cioè gli stati balcani con i loro pericoli e il loro atteggiamento godereccio.
Il viaggio comico ovviamente è un susseguirsi di situazioni assurde che praticamente subito perdono plausibilità o aderenza anche solo al probabile, per sconfinare nella macchietta. Anche per questo sorprende che mai riesca a diventare davvero un modo di guardare a cosa unisca o separi quella che chiamiamo Unione Europea.
Talmente è innocuo Un re allo sbando che anche il fatto che il Belgio si sia diviso, motore di tutto, viene ampiamente trascurato. Perché come nelle commediacce italiane le divisioni si limitano ad un elenco di stereotipi (in senso letterale, ad un certo punto ogni personaggio elenca i luoghi comuni che ritiene veri) oppure ad un generico umanesimo figlio della guerra, dei conflitti e delle difficoltà, che ci mette tutti sullo stesso piano. Per quanto nel finale Un re allo sbando tenti anche una pallida ripresa del tema portante (siamo uniti oppure no?), la figura del re fellone che lentamente si apre alle emozioni della vita e così riconquista quella stima in sé utile ad essere un regnante migliore, è sempre più lontana da chi si accompagna a lui e per nulla in armonia con quel senso di ottimismo e ritrovata certezza del finale.
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