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Che siano noodles orientali o spaghetti aglio e olio, cuocere la pasta è una faccenda seria: bastano infatti un paio di minuti di cottura in più per rovinare un’intera ricetta. Lo sanno bene anche gli scienziati dell’Università dell’Illinois, negli Stati Uniti, che, in uno studio pubblicato sulla rivista Physics of fluids, hanno indagato i processi fisici e meccanici secondo cui la pasta si gonfia, si ammorbidisce e infine diventa appiccicosa mentre assorbe l’acqua bollente, trovando anche che, a parità di formato, la quantità di sale aggiunto nell’acqua ha una grande influenza sui tempi di cottura. Da questi dati hanno elaborato un metodo quantitativo che promette di ottenere ogni volta una perfetta pasta al dente.
Scienza e cucina
La cucina ha molto a che fare con la scienza: non solo perché consistenze, cotture e sapori dei cibi sono governati dalle leggi della chimica e della fisica, ma anche perché la maggior parte delle volte, proprio come in laboratorio, si procede per prove ed errori. Ci sono poi esecuzioni che richiedono più tentativi per avere un buon risultato: per esempio, ottenere la perfetta pasta al dente, i cui tempi di cottura spesso variano a seconda del formato e della ricetta da seguire. Ma è possibile sviluppare un metodo “scientifico” per trovare i tempi precisi di cottura della pasta? Come raccontano in un comunicato stampa, i ricercatori dell’università statunitense, che di solito studiano le caratteristiche fisiche di fibre elastiche molto flessibili e deformabili, si sono posti questa domanda durante la pandemia di Covid-19, lavorandoci a casa e in laboratorio.
La fisica e la pasta al dente
L’obiettivo dei fisici era indagare il processo di rigonfiamento e ammorbidimento della pasta, in particolare degli spaghetti, dovuto all’imbibizione (l’assorbimento in assenza di reazioni chimiche) di liquidi: durante la cottura, infatti, man mano che l’acqua penetra al suo interno, la pasta si ammorbidisce gradualmente, mentre l’amido di cui è composta si gonfia e si rilassa. Questo si associa a cambiamenti della sua struttura interna, a processi di deformazione e di adesione tra la pasta stessa, ovvero quel fenomeno per cui, sollevando una forchettata di spaghetti dall’acqua bollente, più sono scotti più aderiscono tra loro. Quando la pasta viene estratta dall’acqua, infatti, la tensione superficiale esercita una forza che fa attaccare gli spaghetti l’uno all’altro.
In particolare, i ricercatori hanno misurato diversi parametri, come espansione della forma, rigidità della struttura e contenuto d’acqua, di spaghetti cotti per intervalli di tempo diversi. I dati ottenuti, poi, sono stati utilizzati per costruire un modello teorico che spiegasse la dinamica del rigonfiamento da acqua dei materiali a base di amido. Dopo di che hanno prelevato la pasta dall’acqua bollente e hanno lasciato raffreddare uno spaghetto vicino all’altro, misurando con un righello la porzione che aderiva con gli altri. I ricercatori hanno trovato che questa misura era direttamente correlata con i tempi di cottura della pasta.
Un aiuto per la cucina casalinga
C’è di più: i tempi calcolati in questo modo variavano notevolmente non solo in base al formato di spaghetti, ma anche all’aggiunta di sale nell’acqua. E questo ha colpito molto gli studiosi. Per il futuro, il team, oltre che continuare a indagare il ruolo del sale in questi processi, spera che lo studio possa aiutare a trovare metodi semplici per studiare i materiali morbidi ed elastici. In più gli autori si auspicano, per il metodo che hanno ideato, un futuro nella cucina casalinga: infatti, scrivono nello studio, misurare con un righello gli spaghetti piuttosto che assaggiarne la consistenza, per quanto bizzarro, sarebbe ottimale per ottenere sempre una pasta al dente.