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C’è un’altra madre pronta, suo malgrado, a battagliare, ed è Eleonora Moro, seguita nella sua quotidianità di madre, ma anche di moglie che cede il passo a una sana ira verso chi definisce “pazzo” il marito e si ostina a non trattare, proclamando a gran voce la linea (o alibi?) della “fermezza”. Quello interpretato da Margherita Buy è l’episodio più commovente e toccante, in cui Bellocchio si lascia andare nel racconto di una donna che tenta qualsiasi strada pur di salvare il marito.
L’ultimo capitolo abbraccia il primo come la migliore delle strutture ad anello, tornando a concentrarsi sull’uomo Moro che non vuole morire. E sul suo presunto odio verso alcuni ex amici, verso Andreotti, verso Cossiga definito bipolare, verso una vicenda che al suo confessore definisce come «tutta grottesca, tutta sbagliata». Bellocchio gioca molto sull’onirico, mostrandoci addirittura l’utopia di un Moro liberato che è solo nella testa di Cossiga. Partono i brividi che culminano nelle scene di repertorio, che tutti conosciamo e che tuttavia restano impresse, dei funerali di Stato senza feretro – il preciso volere di Moro, rispettato solo dai familiari, era di esequie in forma privata – e delle cariche di potere che i vari politici come Andreotti hanno continuato a ricoprire in sua assenza.
Nei titoli di coda viene sottolineato che l’intera operazione è una sua rielaborazione artistica e creativa, e che ogni riferimento è puramente casuale: chi scrive, e chi guarda, non finirà mai di ringraziarlo, per lo sguardo insieme giovane, rivoluzionario, empatico e idealista con cui è riuscito a rendere avvincente una delle pagine più buie della nostra storia. Di ieri, eppure capace di dire molto anche di oggi. Come solo le grandi opere sanno fare.