venerdì, Marzo 29, 2024

Le storie di ordinaria ingiustizia di 3 italiane senza cittadinanza

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Carriere precluse, gite scolastiche negate, gare vietate: sono oltre un milione gli italiani senza cittadinanza (secondo i dati Istat elaborati da una ricerca Openpolis) che pur vivendo in questo Paese da sempre e studiando qui sono costretti a condurre un’esistenza diversa dai loro compagni e dalle loro compagne di scuola. Una parte di queste ragazze e di questi ragazzi da anni guarda al Parlamento italiano nella speranza, sempre più flebile dopo l’arenarsi prima dello Ius soli poi dello Ius scholae, che si riesca finalmente ad approvare una nuova legge sulla cittadinanza. 

Questione di reddito

Hiba, 23 anni, arrivata dalla Tunisia quando ne aveva 5, insieme a un fratello e una sorella, per ricongiungersi col padre, pescatore tunisino a Mazzara del Vallo, racconta: “A sedici anni sognavo di entrare all’Accademia militare, ma la mia famiglia non ha mai raggiunto il reddito necessario a farmi avere la cittadinanza. Allora, mi sono iscritta all’università e ho studiato mediazione linguistica e culturale. Mi sono laureata con il massimo dei voti, pur non potendo fare l’Erasmus. Per ottenere il visto che serve per partecipare al programma di mobilità studentesca dell’Unione europea servivano troppi soldi. Adesso, invece, non posso partecipare a molti bandi, perché sono riservati ai cittadini italiani, e molti dei concorsi a cui potrei accedere anche col solo permesso di soggiorno sono pieni di cavilli. Sembra, quasi, siano scritti per sabotare il nostro percorso di studi

Papà è dovuto andare in pensione per problemi di salute – prosegue la giovane –. Mia madre è casalinga, si è sempre dedicata alla famiglia. Nel nostro caso, il problema della richiesta di cittadinanza è legato al reddito, inferiore agli ottomila euro a persona l’anno necessari, da mantenere per tre anni, a cui vanno aggiunti cinquecento euro per ogni componente del nucleo familiare. Se non raggiungi e mantieni questa cifra, la richiesta viene rigettata. E poi ci sono le tempistiche: per ogni iter burocratico sono lunghissime. Se gli uffici non rispondono in tempo, al quarto anno la cittadinanza non viene conferita per scadenza dei termini”.

Esclusa dalla gita scolastica

Kristiana, 27 anni è albanese, vive a Rimini da quando ha sei anni e mezzo. Il primo scontro con il suo essere un’italiana senza cittadinanza? “In prima superiore. La scuola organizzò una piccola gita di due giorni all’estero. Ero l’unica extracomunitaria in classe e la Croazia, dove dovevamo andare, non era ancora entrata nell’Unione Europea. Mia madre dovette andare a Roma per farmi ottenere il visto. Riuscii a partire, ma arrivata alla dogana rimasi ferma mezz’ora al controllo e tutti furono costretti ad aspettare me, l’albanese. Anche andare in gita, per chi ha un permesso a termine, non è facile: se il permesso scade, non puoi uscire dal Paese perché dopo non ti fanno rientrare. E quando arrivi all’università spesso devi rinunciare anche agli scambi culturali, compreso l’Erasmus”. 

Il sogno di diventare avvocata? Naufragato come a tante e a tanti suoi coetanei perché non supportata dalla famiglia ‘giusta’: “Siamo una generazione che vive nella precarietà, ma noi italiani senza cittadinanza abbiamo ancora meno possibilità degli altri. Ero ancora a scuola quando ho scoperto di non poter intraprendere nessuna carriera militare, compresa quella nella Guardia costiera e nella Marina militare. Mi sarebbe stato impedito anche navigare come allievo o su navi mercantili o di trasporto passeggeri. Nel frattempo, da cittadina straniera nel mio Paese, sto scoprendo tutte le altre limitazioni del mio non essere considerata italiana: ci sono difficoltà a prendere un prestito, persino per acquistare un telefono a rate. Le compagnie telefoniche hanno delle graduatorie interne dei ‘cattivi pagatori’ fatte anche in base alla nazionalità e se hai quella sbagliata è molto difficile tu possa ottenere un comodato d’uso”.

Kristiana italiani senza cittadinanza

Discriminazioni nello sport

Molte ragazze e ragazzi senza cittadinanza italiana subiscono discriminazioni anche nel mondo dello sport, soprattutto se eccellono e decidono di intraprendere un percorso agonistico. Alexandra è una di loro: nata in Moldavia, a cinque anni arriva a Soave, in provincia di Verona. Scopre la passione per lo sport alle scuole medie; inizia con il nuoto e poi sceglie atletica. Il suo allenatore le fa provare la marcia perché la vede particolarmente portata: un’intuizione che si rivela geniale, perché poco dopo Alexandra inizia a gareggiare vincendo due campionati provinciali e poi quello regionale. “Nel 2019, ho vinto il primo titolo italiano e lì ho sperimentato sulla mia pelle che non avere la cittadinanza rappresentava un enorme ostacolo – racconta -. Il motivo? Pur essendo campionessa italiana nella mia categoria, non ho potuto vestire la maglia azzurra e rappresentare l’Italia in una competizione internazionale che si teneva a Baku, in Azerbaijan. Nell’ultimo anno ho vinto altri premi in Italia, i 3 chilometri, i 20 chilometri e ultimamente i 10mila metri in pista. Il problema è che ad agosto ci sono i mondiali under 20 ma, salvo miracoli della burocrazia italiana, non potrò parteciparvi”. 

Alexandra italiani senza cittadinanza

Campionesse e studentesse modello di fronte a un Paese respingente, un Paese anacronistico e che non tiene conto dei cambiamenti della società. Quasi stupisce che il primo sogno di Hiba fosse servire il Paese che non si rassegna a guardare in faccia i figli di una terra fatta di arrivi e di partenze. “Per me è importante fare parte attiva di questo Paese, la mia seconda patria – spiega –. Io non sono né italiana né tunisina, sono cittadina del mondo, ma la mia cultura è italiana. Conosco a memoria l’inno nazionale italiano, non quello tunisino; conosco la Costituzione italiana, non quella tunisina. Ora studio scienze diplomatiche e se un giorno riuscirò a ottenere la cittadinanza, vorrei rappresentare l’Italia”.

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