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Alcune resine vegetali e il natron, un sale usato per disidratare il corpo. Le antiche tecniche di mummificazione, come sappiamo, seguivano ricette ben precise. Ma quali altri ingredienti venivano utilizzati dagli imbalsamatori nell’antico Egitto? A rispondere oggi a questa domanda è un team di ricerca internazionale che è riuscito, attraverso analisi molecolari, a scoprire nel dettaglio gli unguenti, gli oli, le resine e tante altre sostanze chimiche usate dagli egizi per preparare i corpi dei defunti all’aldilà. Lo studio è stato appena pubblicato su Nature.
Cosa sapevamo finora
Ricordiamo che le informazioni che abbiamo finora sulle antiche ricette della mummificazione provengono principalmente da due fonti: i testi antichi e l’analisi chimica delle mummie stesse. Per esempio, secondo i testi lasciati dallo storico greco Erodoto, la mummificazione consisteva in una procedura ben precisa e che durava circa 70 giorni. Fino ad oggi, tuttavia, mettere in ordine la moltitudine di ingredienti utilizzati dagli imbalsamatori si è rivelato un compito tutt’altro che semplice.
Cosa hanno scoperto gli studiosi e come
Per scoprire nel dettaglio la ricetta della mummificazione, i ricercatori hanno analizzato i resti di una collezione di 31 vasi in ceramica nella necropoli di Saqqara, e in particolare in un laboratorio di imbalsamazione datato tra il 664 e il 524 a.C. Molte delle ciotole erano etichettate con gli ingredienti che contenevano e le specifiche sul loro utilizzo, come ad esempio “da mettere in testa”. “Siamo riusciti a identificare una grande varietà di sostanze utilizzate dagli imbalsamatori”, ha spiegato al New Scientist l’autore Maxime Rageot, dell’Università di Tubinga (Germania). “Tra queste, poche erano disponibili localmente”.
In particolare, dalle analisi svolte con una tecnica chiamata gascromatografia-spettrometria di massa, è emerso che i vasetti contenevano: cera d’api, bitume del Mar Morto, grassi animali ed estratti di ginepro, cipresso e credo, tutte piante che crescono nella regione del Mediterraneo orientale. Ma anche altri due ingredienti a sorpresa: una resina chiamata elemi, simile al miele, che proviene dagli alberi di Canarium, tipici delle foreste pluviali in Asia e Africa; e la dammar, un’altra resina gommosa ottenuta dagli alberi Shorea, che crescono nelle foreste tropicali dell’Inda Meridionale, Sri Lanka e del sud-est asiatico. Un’ulteriore prova, raccontano i ricercatori, dell’esistenza di una fiorente rete commerciale a lungo raggio. “L’Egitto era povero di risorse in termini di sostanze resinose, quindi molte venivano acquistate o scambiate da terre lontane”, ha commentato a Nature Carl Heron, esperto del British Museum di Londra.
Un lavoro di precisione
Dai risultati, inoltre, è emerso chiaramente come gli imbalsamatori egizi avessero una conoscenza molto accurata delle proprietà delle sostanze utilizzate. I vasi, infatti, contenevano miscele complesse di ingredienti, alcune delle quali venivano riscaldate o distillate. Molte resine, per esempio, hanno proprietà antimicrobiche, antimicotiche o di controllo degli odori. Su un vaso, infatti, contenente elemi e grasso animale, era inciso “per rendere gradevole il suo odore”. “Questo studio è il primo esempio di analisi dei materiali utilizzati nella mummificazione di un laboratorio di imbalsamazione e di una camera funeraria”, ha scritto Salima Ikram, archeologa all’American University del Cairo, in un commento a corredo dell’articolo. “Rappresenta un importante passo avanti nella nostra comprensione dei materiali e dei metodi di imbalsamazione dell’antico Egitto. Queste analisi possono essere ulteriormente approfondite se il team potrà verificare l’uso delle sostanze sulle mummie stesse”.