Questo articolo è stato pubblicato da questo sito
“Questo è un processo farsa – commenta Roberto Salis -. Quello che viene contestato a mia figlia è assurdo. Sto raccogliendo un dossier sulle aggressioni neonaziste durante il Giorno dell’Onore: si tratta di militanti, che, a differenza di Ilaria, sono stati colti sul fatto nel commettere reati e rilasciati dopo due giorni. Bisogna far capire all’opinione pubblicato come sono andati realmente i fatti, e aiutarla a contestualizzare. La pressione dei media è stata essenziale, senza non saremmo arrivati a questo punto”.
La prima udienza, di tipo tecnico, si terrà a Budapest il 29 gennaio. Sarà pubblica e, oltre al padre, presenzierà la stampa oltre a esponenti del corpo diplomatico italiano. Si prevede che l’accusa mostri le proprie carte e l’imputata si dichiari non colpevole. Intanto, sono nati due comitati a sostegno del rimpatrio, uno gestito dalla famiglia, l’altro dagli ex compagni di liceo. C’è anche una petizione online, che ha già raccolto quasi cinquantamila firme.
L’intervento di Tajani
Più volte Roberto Salis, che sta guidando la campagna per consentire alla figlia di attendere il verdetto del processo in Italia, ha lamentato la latitanza del centrodestra. Nei giorni scorsi Stefania Pucciarelli, presidente leghista della commissione Diritti umani del Senato, aveva detto a Wired: “Sentirò l’ambasciata ungherese per chiedere informazioni sul rispetto delle condizioni di detenzione di Ilaria”. Pucciarelli aveva anche dichiarato che il canale di comunicazione con il governo era aperto. Il senatore Sandro Sisler aveva confermato che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni era informata del caso.
Nel frattempo, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato alle agenzie: “Ho chiesto un impegno attento da parte ungherese sulla situazione della nostra connazionale per garantire tutti i diritti che hanno i nostri detenuti“, ovvero un “trattamento rispettoso delle regole e della dignità della persona ed eventuali soluzioni alternative alla detenzione”.