giovedì, Luglio 3, 2025

Isis, non ce n'è uno solo

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Ce l’ha fatta finalmente, il presidente russo Vladimir Putin, nel suo primo discorso in tv sull’attacco terroristico del 22 marzo, a menzionare il radicalismo islamico e l’Isis e non l’Ucraina come responsabile. Ci sono zero dubbi anche per lui che siano stati i membri di un’ala dello Stato islamico, e non il vicino invaso due anni fa, a crivellare di colpi di fucile automatico almeno 150 persone al Crocus City Hall, a Mosca. L’uomo del Cremlino, sapendo che la strage ha messo in dubbio la sua immagine di forza e sicurezza, e dovendo affrontare le critiche per la lentezza della risposta, ha tentato comunque di attribuire la colpa all’Ucraina e ai suoi amici, lasciando intendere che i terroristi del cosiddetto Isis-Khorasan (o Isis-K) avrebbero avuto appoggi, o incitamento, dal fronte euro-atlantista.

Se il Cremlino vuole un legame tra il Crocus e Kyiv, è possibile che il legame lo trovi, perché da anni l’Isis passa attraverso l’Ucraina, così come accade in altri paesi“, commenta su X il giornalista Luigi Di Biase de Il Manifesto, esperto di questioni russe. Il cambio di toni sulla guerra si era del resto già avvertito una settimana fa, dopo la quinta vittoria di Putin alle presidenziali, quando il portavoce dal Cremlino, Dmitry Peskov, aveva annunciato una più massiccia mobilitazione bellica.

Difficile decidere se è più grave, per l’Occidente e l’Ucraina, la prospettiva di una nuova offensiva russa col pretesto del terrorismo, o l’idea che lo Stato islamico non sia stato ancora sconfitto, che esista e colpisca ancora, e che la sua colpevolezza possa essere paradossalmente l’ipotesi più rassicurante per chi teme l’escalation. E da questo nasce la confusione. Perché colpire la Russia? Che differenza c’è tra il cosiddetto Stato Islamico, l’Isis-K e i talebani, a parte il fatto che sono tutti gruppi jihadisti radicali concentrati sull’eliminare ciò che percepiscono come la minaccia della cultura occidentale per l’Islam? I fatti del Crocus ci dicono che, sebbene queste entità condividano un’ideologia simile in linea generale, di Isis ce n’è più d’uno, e loro strategie differiscono significativamente.

L’Isis

Lo Stato Islamico di Siria e Iraq – conosciuto anche con gli acronimi inglesi Isis o Isil e con l’acronimo arabo di Daesh – è emerso nel 2013 e già un anno dopo conquistava il centro della scena annunciando la creazione di un “califfato” che copriva una parte dell’est dell’Iraq e dell’ovest della Siria. Uno quasi-Stato per sperimentare i principi della sharia e controllare magari anche una fetta importante della produzione petrolifera mediorientale.

Dopo un picco raggiunto l’anno successivo, l’Isis ha iniziato a sgretolarsi, grazie anche ai colpi della campagna militare condotta dagli Stati Uniti e dai loro alleati locali, soprattutto i combattenti curdi siriani oppositori del regime filo-russo di Bashar al-Assad. Nel 2019 finisce ucciso in un raid statuintense Abu Bakr al-Baghdad, il leader dell’organizzazione, e il califfato si può dire crollato. La perdita della sua forma statualizzata non ha fermato l’Isis, e le sue transnazionali hanno continuato con gli attacchi terroristici, negli anni successivi, e in un gioco di scambi e rivalità con le sue correnti ribelli.

L’Isis-Khorasan

La filiale dell’Isis che ha rivendicato la strage di Mosca, l’Isis-K, è emersa a seguito di una scissione del 2015 all’interno dei talebani: alcuni membri del suo ramo pakistano si erano convinti che i leader talebani non stessero seguendo fedelmente la Sharia e hanno giurato fedeltà all’Isis. Sia il reclutamento che le operazioni di questo gruppo hanno coinvolto l’Asia Centrale (parti della quale costituiscono la regione storica del Khorasan) e in particolare l’Afghanistan e Uzbekistan, ma anche parti del Caucaso settentrionale, prevalentemente musulmano, come la Cecenia, il Daghestan e l’Inguscezia.

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