mercoledì, Dicembre 4, 2024

Doping, la Russia ammette (ma non c’entrerebbe Putin)

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Il doping nello sport russo, e le possibili implicazioni di Stato, hanno tenuto banco nel 2016, ma a fine anno giungono parziali ammissioni in merito. Le rivelazioni arrivano sul New York Times, in un report dal titolo Russians no longer dispute olympic doping operation.

Secondo il quotidiano statunitense, si trattò quindi di una cospirazione tra le più grandi della storia dello sport, un’operazione di vasta portata che ha sporcato tutto il movimento olimpico. A confermare al Nyt, che parla di interviste condotte su più giorni ai funzionari russi, il carattere istituzionale dei fatti, anche Anna Antseliovich, a capo dell’agenzia antidoping russa, che però nega che le alte sfere dello stato fossero a conoscenza di un certo modus operandi. Manovre scorrette basate su manomissioni dei campioni di urina, cocktail di sostanze dopanti e coperture per gli atleti che baravano.

Ad accusare lo sport russo, il report della Wada, l’agenzia mondiale antidoping, stilato da Richard McLaren e articolato in due parti, le cui ultime evidenze sono state presentate a inizio dicembre: nel maggio scorso McLaren era stato nominato dalla Wada come soggetto indipendente per indagare sulle accuse di manipolazioni perpetrate da Grigory Rodchenkov, già direttore del laboratorio di Mosca, accreditato dalla Wada.

La Wada aveva quindi riconosciuto le conclusioni della seconda parte del report, che conferma “la manipolazione istituzionalizzata del processo di controllo antidoping in Russia” e si concentra sul numero di atleti che ne hanno beneficiato.

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Dalle conclusioni si evinceva che gli atleti non operavano individualmente, ma entro una infrastruttura organizzata. Inoltre, il modus operandi sullo scambio dei campioni di urina non si fermò con la fine dei giochi di Sochi ma continuò nei laboratori di Mosca. Oltre 1000 atleti avrebbero quindi beneficiato di aiuti nelle varie competizioni estive e invernali e anche alla paralimpiadi.

Conclusioni ovviamente rigettate in Russia, in particolare sulla possibilità che la cospirazione fosse istituzionale.

Una manovra, quelle sulle ammissioni pur senza intaccare i vertici, che secondo il New York Times servirebbe ai russi per aprire una stagione di conciliazione con i regolatori e per riaccreditarsi nuovamente sia nelle gare, sia nella possibilità di condurre test in patria. Tuttavia, scrive il quotidiano Usa, sebbene i funzionari accettino i risultati fondanti del report McLaren, leggono le azioni russe come una compensazione del trattamento preferenziali che ritenevano fosse accordato dalla Wada agli atleti di altri paesi e che l’hacking di Fancy Bear della scorsa estate avrebbe rivelato.

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