sabato, Luglio 27, 2024

Taboo, la serie tv di/con Tom Hardy: la prima puntata non convince

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Sembra un olio su tela, in alcuni momenti: con Tom Hardy di spalle, avvolto in un lungo cappotto nero, la tuba sulla testa e lo sguardo perso chissà dove. A tratti, invece, ricorda certi romanzi di inizio Ottocento, pieni di intrighi, di colpi di scena, di aristocrazia svenduta e di buone maniere. Otto episodi, ciascuno lungo circa cinquanta minuti, location più o meno fisse e costumi d’epoca. In onda su BBC One, da sabato scorso, e su FX dal 10 gennaio. Arriva Taboo, la serie scritta a sei mani da Hardy jr. e Hardy senior, il papà, e da Steven Knight (Peaky Blinders, Locke), e co-prodotta da Ridley Scott.

Tom Hardy interpreta James Keziah Delaney, il figliol prodigo, che dopo anni passati in Africa (a fare cosa, almeno per il primo episodio, è un mistero) decide di tornare a casa per il funerale del padre (in realtà, parte quando viene a sapere della malattia del genitore, ndr). La sorellastra, Zilpha, interpretata da Oona Chaplin, si è sposata e lo ha quasi dimenticato: quando lo vede in chiesa, crede che sia un fantasma. Il mondo – la società civile – l’ha marchiato come “pazzo”: girano strane storie sul suo conto; storie che è meglio non ripetere; storie pagane, di rituali, di morti e di cadaveri. Dicerie, malelingue, invidiosi. Oppure no ed è tutto vero.

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La trama è una via di mezzo tra tante altre già viste e sentite (e l’ha confessato lo stesso Hardy, qualche giorno fa, in un’intervista al New York Times): c’è un po’ di Cime Tempestose, un po’ del Conte di Montecristo; un po’, anche, di Sherlock Holmes. È una serie in costume, con elementi di thriller e di dramma. La sceneggiatura in alcuni momenti si fa muta (troppo, forse): c’è la scena, la vediamo, e oggetti e cose sono disposte nello spazio (come in un teatro di posa, insomma). I personaggi, però, non parlano. Tom Hardy, soprattutto, non parla – a volte grugnisce, come l’animalesco Turner interpretato da Timothy Spall nel film di Mike Leigh; a volte si limita a fissare l’altro, a scrutarlo, ad accennare una brevissima espressione e a soppesarlo. Occhi, bocca, naso. C’è sempre la penombra della tesa della tuba, a mascherare lo sguardo.

È un gioco di minacce e di tira-e-molla: l’onnipotenza – forse ostentata, forse no – del personaggio di Hardy rischia di rovinare tutto in ogni momento; la credibilità delle sue scelte e la sicurezza in sé stesso sono forse i due aspetti più interessanti e, allo stesso tempo, più difficili da accettare. Più che una summa di umanità e di realismo (che pure c’è, seppure molto ridimensionato), Taboo è un crocevia di luoghi comuni, di figure più o meno riconoscibili e di personaggi che abbiamo imparato ad amare o ad odiare. È una storia pensata a tavolino e rivolta a un target preciso. E per questo divide: c’è chi la ama immediatamente, accettandone tutti gli errori, chi invece la trova pasticciata e lenta – troppo, troppo lenta.

Il primo episodio di Taboo è una lunghissima premessa. Ci sono alti e bassi: troppe sfumature e troppi giochi di macchina, in certi momenti; la fissità di alcune scene si fa a tratti pesante e a tratti, invece, utile alla narrazione – sono come pause: lunghe pause pensate e inserite per permettere allo spettatore di digerire quello che sta guardando. A parte i personaggi interpretati da Hardy e dalla Chaplin, va segnalato pure Stuart Strange, faccia e voce di Jonathan Pryce (l’Alto Passero del Trono di Spade, ndr): il capo della Compagnia delle Indie Orientali, il vero nemico di James, che gli vuole portare via la striscia di terra che ha ereditato dal padre (zona al confine tra Canada e Stati Uniti, dove la madre, indiana, è nata).

Dark, a momenti criptica, in altri eccessiva, un (quasi) one-man show. E confusa: su cui – ed è piuttosto evidente – bisogna ancora lavorare. C’è Hardy e poi c’è tutto il resto: il suo è un ruolo estremo. E la fortuna o il successo della serie dipende da questo: da quanto, cioè, l’attore riesca ad essere credibile.

Per il momento, dopo appena la prima puntata, è ancora difficile – o meglio, è azzardato – dare un giudizio definitivo: Taboo ha chiaramente i suoi aspetti positivi (un bravissimo Tom Hardy, che si è costruito un ruolo su misura) e i suoi aspetti negativi (primo tra tutti, la regia spasmodica). Serve tempo, e serve anche il prossimo episodio. La speranza è che possa consolidarsi, e che certe sbavature – certe incertezze nella costruzione e nella narrazione – vengano eliminate. È la frenesia del voler raccontare tutto velocemente contro la necessità, spesso sottovalutata, di prendersi il tempo che serve per misurare, scrivere e pensare ogni scena. Consigliata, ma con riserva.

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