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L’espressione nativo digitale a volte può trarre in inganno. Sicuramente i nati tra il 1995 e il 2000 – quelli cioè della Generazione Z – vivono gran parte del loro tempo sul web e soprattutto su mobile ma, ad esempio, preferiscono ancora fare shopping nei negozi fisici.
È quello che si evince da una recente ricerca di Ibm dal titolo Uniquely Generation Z condotta su 15mila ragazzi e ragazze tra i 13 e i 21 anni in 16 paesi.
Una generazione che per il marketing dei prodotti di largo consumo risulta piuttosto interessante, principalmente per tre motivi:
1) vale circa 41,3 miliardi di euro in termini di potere d’acquisto e, nel 70% dei casi, influenza le scelte sugli acquisti familiari (cibo, bevande, prodotti per la casa, mobili);
2) nonostante passi più di 5 ore al giorno su internet – principalmente per inviare messaggi e chattare con gli amici – predilige fare shopping nei negozi fisici (lo dichiara il 98% degli intervistati);
3) ha un rapporto particolare con i brand, al punto che è disposta ad estendere le loro conversazioni online anche con i marchi.
Questi tre aspetti creano un profilo di consumatore nuovo: sicuramente poco fedele (il 52% afferma che sarebbe disponibile a cambiare un brand cui è fedele a favore di un altro se la qualità non è la stessa), che si informa su mobile e desidera interagire con i brand in un modo alternativo (il 42% parteciperebbe a giochi online per una campagna di comunicazione e il 43% è disponibile a fare recensioni di prodotti), purché abbiano un forte link con il mondo reale, perché si è visto che lì, in ultima istanza, avviene l’eventuale acquisto.
Non è semplice analizzare questo nucleo generazionale che il sociologo Francesco Morace nel suo ultimo libro ConsumAutori chiama ExperTeens: da una parte, infatti, sono cresciuti insieme all’evoluzione dei dispositivi digitali, ma dall’altra sono più pragmatici e meno auto-indulgenti rispetto ai loro fratelli maggiori. Questo rende la vita più difficile per i brand e le aziende che devono rapportarsi con loro in un modo differente: non più comunicazioni unidirezionali e messaggi persuasivi, come il marketing ha sempre fatto per decenni, bensì catturare l’interesse con prodotti ed esperienze originali e in prima persona, tra online e offline. Dare loro cioè la possibilità di stimolarli online e farli sperimentare dal vivo, magari facendolo diventare una sorta di ambasciatori spontanei della marca.
Il coinvolgimento però non deve essere invasivo: seppur giovanissimi, i ragazzi della Generazione Z tengono molto alla privacy e, secondo la ricerca Ibm, meno del 30% intende condividere informazioni sul proprio benessere, sulla geolocalizzazione o sulla vita personale senza la sicurezza che tali informazioni verranno protette.
Insomma, il punto è trattare questi ragazzi non più come dei giovani consumatori, ma come delle persone, con una maturità diversa rispetto ai loro coetanei del passato, data da quegli strumenti abilitanti che sono i device tecnologici.
Mai come in questi tempi i teenagers sono sotto la lente di ingrandimento degli istituti di ricerca: la notizia di oggi è che anche i minori tra i 13 e i 17 anni entreranno a far parte della rilevazione dell’audience mobile di comScore a partire dal gennaio 2017 e quindi le prime variazioni si vedranno a partire dal prossimo mese. Ma per il tipo di target particolare l’interpretazione dei dati sarà sicuramente più difficile rispetto a quelli più anziani.
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