giovedì, Marzo 28, 2024

Il processo per l'omicidio di Stefano Cucchi arriva in Cassazione

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A tredici anni dal brutale omicidio di Stefano Cucchi, la corte di Cassazione deciderà oggi, 4 aprile 2022, se confermare la condanna a 13 anni per i due carabinieri responsabili di aver ucciso il giovane. Sono passati 14 gradi di giudizio, 15 con quello previsto oggi, e 150 udienze, costellate di tentativi di depistaggio delle indagini, da quando il trentunenne romano ha perso la vita mentre era sotto custodia delle forze dell’ordine, nella caserma Casilina di Roma.

Nato nel 1978, Stefano Cucchi lavorava a Roma, nel quartiere Casilino. La sera del 15 ottobre 2009, una pattuglia di carabinieri lo arresta per il possesso di circa 20 grammi di hashish, 2 grammi di cocaina e due pastiglie di ecstasy. Prima di essere portato in caserma, il giovane deve condurre i carabinieri a casa dei suoi genitori, dove viveva, per la perquisizione dell’alloggio. L’operazione non porta a nulla, tranne alla constatazione da parte della coppia che loro figlio si trova in buone condizioni fisiche e di salute. Un dettaglio che si rivelerà fondamentale nei successivi 13 anni.

Quella notte, Stefano la passa in caserma, da dove viene allertato il 118 per verificare il suo stato di salute. In base ai resoconti e ai verbali dei carabinieri, Cucchi avrebbe rifiutato la visita medica, per ragioni non conoscibili. Il giorno dopo, prima dell’udienza per la conferma dell’arresto, il ragazzo viene consegnato alla polizia penitenziaria. Gli agenti a quel punto gli impongono di sottoporsi a una visita medica, dalla quale emergono forti lesioni alla regione sacrale, cioè alle vertebre più basse della colonna, e alle gambe. Di nuovo, i verbali sostengono che Stefano abbia rifiutato una controllo più accurato.

L’arresto viene convalidato e Cucchi spostato nel carcere di Regina Coeli a Roma. Segue subito l’ennesima visita medica e, questa volta, il dottore ne richiede l’immediato ricovero presso l’ospedale Fatebenefratelli. Anche questa volta, Cucchi avrebbe rifiutato il ricovero, venendo dimesso con la diagnosi di diverse fratture e numerosi ematomi. Ufficialmente, i referti sostengono che la causa delle lesioni sarebbe stata una caduta dalle scale.

Passa un altro giorno e Stefano non può non andare in ospedale. Gli viene così imposto il ricovero, presso il reparto di medicina protetta del Pertini di Roma. Nonostante le sue condizioni precarie, l’amministrazione penitenziaria impedisce ogni visita alla famiglia Cucchi. Tre giorni dopo, alle 6 del mattino del 22 ottobre 2009, Stefano muore da solo, senza aver nemmeno potuto salutare i genitori e la sorella.

Il lungo processo

Seguiranno il processo, l’autopsia e un lungo iter giudiziario durante il quale verrà più volte sostenuto che la morte di Stefano sarebbe da imputare alla negligenza dei medici del Pertini. Tuttavia, una perizia della parte civile dimostrerà il nesso mancante tra le cure e le fratture all’origine del decesso. Sarà solo nel 2018, con la riapertura delle indagini e un secondo processo per uno dei carabinieri imputati, che la verità comincerà a tornare a galla.

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