giovedì, Luglio 3, 2025

La Cassazione ha confermato la condanna per i carabinieri che hanno ucciso Stefano Cucchi

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L’arresto viene convalidato e Cucchi spostato nel carcere di Regina Coeli a Roma. Segue subito l’ennesima visita medica e, questa volta, il dottore ne richiede l’immediato ricovero presso l’ospedale Fatebenefratelli. Anche questa volta, Cucchi avrebbe rifiutato il ricovero, venendo dimesso con la diagnosi di diverse fratture e numerosi ematomi. Ufficialmente, i referti sostengono che la causa delle lesioni sarebbe stata una caduta dalle scale.

Passa un altro giorno e Stefano non può non andare in ospedale. Gli viene così imposto il ricovero, presso il reparto di medicina protetta del Pertini di Roma. Nonostante le sue condizioni precarie, l’amministrazione penitenziaria impedisce ogni visita alla famiglia Cucchi. Tre giorni dopo, alle 6 del mattino del 22 ottobre 2009, Stefano muore da solo, senza aver nemmeno potuto salutare i genitori e la sorella.

Il lungo processo

Seguiranno il processo, l’autopsia e un lungo iter giudiziario durante il quale verrà più volte sostenuto che la morte di Stefano sarebbe da imputare alla negligenza dei medici del Pertini. Tuttavia, una perizia della parte civile dimostrerà il nesso mancante tra le cure e le fratture all’origine del decesso. Sarà solo nel 2018, con la riapertura delle indagini e un secondo processo per uno dei carabinieri imputati, che la verità comincerà a tornare a galla.

In quell’occasione, il carabiniere Francesco Tedesco, accusa alcuni colleghi del pestaggio di Stefano, sostenendo di aver informato il comando dei carabinieri dell’Appia con una nota, che non sarà mai ritrovata. La confessione, porta al coinvolgimento di alcuni militari e ufficiali dell’Arma come indagati nell’inchiesta sulla morte di Cucchi. Nel 2019, gli imputati saranno poi rinviati a giudizio per vari reati legati al depistaggio delle indagini e finalmente, nel 2020, gli agenti Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro verranno condannati per omicidio preterintenzionale.

Arriviamo quindi allo scorso anno, quando la Corte d’assise di appello di Roma, ha chiesto tredici anni di carcere per Di Bernardo e D’Alessandro, con l’accusa di omicidio, di quattro anni per Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione Appia accusato di falso, e due anni e mezzo per Francesco Tedesco, sempre con l’accusa di falso. Oggi, la Cassazione è chiamata a confermare queste sentenze, per portare giustizia a una famiglia che, oltre al dolore per la perdita di un figlio e un fratello, durante questi 13 anni ha dovuto anche subire il bullismo e lo sciacallaggio di alcune figure politiche.

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